AMORE DISPERATO

 


[Fan art di Anya Aoede]


Capitolo uno


“C’è tutta una vita in un’ora d’amore”

(Honoré de Balzac)

 

 

New York, dicembre 1928

 - Quando glielo dirai? Perché glielo dirai vero?

- Certo, ma ho bisogno di un po' di tempo, cerca di capire…

- Sono mesi che cerco di capire, non serve ripetermelo ogni volta… è solo che non ce la faccio più!

- Lo sai che non è facile…

- E per me invece è facile secondo te? Sapere che dopo che sei stata con me torni da lui… è una tortura! Se hai deciso di farmi impazzire sappi che ci sei molto vicina… o forse la tua è una vendetta per il male che ti ho fatto…

- Smettila, sai benissimo che non è così!

Il suo sguardo misto di rabbia e dolore mi straziava l'anima ogni volta, ma non sapevo come fare a risolvere quella situazione e così rimandavo sempre sperando di riuscire a trovare il momento e le parole giuste, se mai potevano esistere.

- Torna questa sera?

- Sì.

- Quindi dormirai con lui.

- Ti ho già detto che non dormiamo insieme da tempo.

- Ma se lui volesse… se stasera ti chiedesse di… in fondo sono settimane che non vi vedete… è normale che un marito torni a casa e desideri stare con sua moglie…

- Ti prego basta!

- Rispondimi! Se lui ti chiedesse di fare l'amore…

A quel punto presi la borsa ed il soprabito, volevo andarmene, ma lui mi bloccò afferrandomi per la vita.

- Ti scongiuro resta…

Sospirai profondamente.

- Abbiamo solo un'ora, vuoi sprecarla litigando? - gli chiesi piuttosto arrabbiata.

- No… perdonami.

La sua voce di velluto mi accarezzò il collo, mi voltai verso di lui con la certezza che appena ci fossimo guardati negli occhi tutto il resto sarebbe scomparso.

- Perché sei così dannatamente bella! - esclamò sfiorandomi la guancia con le dita. 

Gli sorrisi sapendo già cosa sarebbe accaduto poco dopo.

Prese la mia borsa e il soprabito e li gettò sul divano, poi fece scorrere entrambe le mani lungo la schiena, dalle spalle fino ai fianchi e afferrando il bordo del mio maglioncino lo sfilò con un solo gesto. Diceva spesso che sarebbe potuto morire sul mio collo, così piegai la testa leggermente all'indietro per offrirglielo. Le sue labbra morbide e calde si impossessarono immediatamente della mia pelle candida, facendomi impazzire di desiderio in pochi istanti. Lui se ne accorse e mi guardò soddisfatto, sorridendo, occupandosi della mia gonna che arrendevole cadde a terra. Mi prese in braccio e mi portò sul letto, sfilandomi con estrema lentezza le calze e la sottoveste. Poi passò alla propria camicia finendo per litigare con i bottoni.

- Aspetta… faccio io.

Adoravo spogliarlo, scoprire pian piano quel corpo perfetto che sembrava nato per fare l'amore. Ogni volta che la camicia scivolava dietro le sue spalle non resistevo al desiderio di baciare la sua pelle, giù fino ai pantaloni di cui si liberava velocemente. Udirlo gemere di piacere sotto le mie labbra mi procurava una tale felicità a cui non avrei più potuto rinunciare. I baci che mi dava poi, catturando la mia bocca come se potesse perderla da un momento all'altro, mi facevano abbandonare del tutto il controllo e sprofondare in un mondo solo nostro.

I nostri incontri erano così, attimi di pura gioia rubati alla realtà che invece ci costringeva in ruoli che non ci appartenevano. Fare l'amore per noi era come riappropriarci del nostro essere, solo in quei momenti sentivamo la vita scorrere nelle nostre vene. Era come se i corpi uniti rappresentassero la nostra boa per non annegare, solo insieme potevamo restare a galla, mentre lontani finivamo per annaspare in acque agitate e oscure in cui non smettevamo mai di cercarci disperatamente. 

Perché la separazione arrivava sempre inesorabile, ognuno per la propria strada, quella che avevamo scelto o che il destino aveva scelto per noi molti anni prima.

Anche quel pomeriggio, dopo un'ora d'amore folle, in un alberghetto sperduto fuori città, mi avvisarono dalla reception che il mio taxi era arrivato. Lui era ancora disteso nel letto, unico testimone delle nostre battaglie. Ogni incontro finiva infatti per diventare uno scontro perché tra noi c'era come il desiderio di rendere l'altro schiavo e allo stesso tempo di esserne prigioniero, in uno scambio continuo di ruoli che ogni volta ci lasciava sfiniti e insoddisfatti. Nessuno dei due aveva ottenuto del tutto ciò che desiderava e questo ci costringeva a cercarci ancora senza averne mai abbastanza.

Mi avvicinai a lui e gli sfiorai la schiena con un bacio, sapevo che non sopportava quel momento e non voleva guardarmi mentre me ne andavo, per questo se ne stava sdraiato con il viso sprofondato nel cuscino.

- Non vuoi salutarmi come si deve? - gli chiesi in un sussurro all'orecchio, dopo essermi rivestita.

- No.

- Quando potremo rivederci?

- Dopo che avrai parlato con lui!

- Ti prego… lo sai quanto ti…

- Non dirlo! – sbottò, soffocando un grido nel cuscino e stringendo le mani attorno alla testa per non ascoltare.

- Perché non vuoi che te lo dica?

- Devo dividere con lui il tuo corpo, non voglio dividere anche il tuo cuore… me lo dirai quando sarà solo per me.

Avrei voluto rassicurarlo dicendogli che il mio cuore apparteneva da sempre soltanto a lui, ma in quel momento non potevo permettermelo. Uscii in silenzio dalla stanza. Il solito rito ad accompagnarmi verso il taxi, cappello e occhiali scuri per tornare alla realtà, lasciandomi alle spalle quel sogno che era lui.

La nostra relazione andava avanti ormai da diversi mesi, da quando ci eravamo rivisti per caso e tra noi era scoppiata di nuovo la passione. In realtà il nostro primo incontro risaliva a circa due anni prima. Ricordavo perfettamente quel momento, ma all’epoca non potevo immaginare ciò che ne sarebbe seguito.

 

New York, gennaio 1926

Sembrava una sera come tante, uno di quei noiosi ricevimenti a cui partecipavo raramente e solo perché dovevo. L’alta società newyorkese di cui ormai facevo parte non rispecchiava esattamente la mia idea di divertimento, ma questa era la mia vita, da circa un anno ormai.

Lui non c’era, si trovava in viaggio per affari, sarebbe tornato tra pochi giorni. Ci eravamo trasferiti a New York a causa del suo lavoro. Tutto sembrava procedere per il meglio. Poi… all’improvviso… lo vidi. Per un attimo credetti di avere le allucinazioni, sapevo che da anni abitava in Inghilterra, non poteva esseri lì. Qualcuno lo chiamò per nome fugando ogni mio dubbio. Ero in compagnia di altre persone, alcune signore che avevo coinvolto in un progetto di beneficenza di cui mi stavo occupando. Mi allontanai con una scusa sperando che lui non mi avesse visto. Uscii in terrazza per prendere un po’ d’aria. Era gennaio e faceva molto freddo, non potevo restare lì o mi sarei presa una polmonite dal momento che indossavo solo un abito da sera molto leggero. Decisi così di rientrare e andarmene, ma quando mi voltai lui era lì ed era ancora più bello di come lo ricordavo. Non potevo evitarlo, per andarmene dovevo per forza passargli davanti così lo salutai. Lui mi sorrise, poi mi chiese come stavo.

- Bene – risposi.

Dopo un attimo di silenzioso imbarazzo gli dissi che stavo per tornare a casa.

- Anch’io, posso accompagnarti?

Gli dissi di sì.

Salimmo sulla sua auto, non parlammo molto. Mi disse che alloggiava al Savoy e mi chiese se mi faceva piacere bere qualcosa insieme e fare due chiacchiere.

Gli dissi di nuovo di sì.

Entrammo nella sua stanza, una favolosa suite. Il camino era acceso, faceva caldo e lui mi aiutò a togliere il cappotto, poi prese da bere. Dopo il primo sorso trovai il coraggio di chiedergli come mai si trovasse in città. Mi rispose che era venuto a trovare sua madre, però in questo momento era a Los Angeles, sarebbe tornata il giorno successivo.

- Mi fermo solo per stanotte in albergo, domani vado da lei a Long Island.

Poi mi fece la stessa domanda e io gli spiegai che curavo alcuni progetti di beneficenza e per questo ero lì da qualche mese.

I suoi occhi mi guardarono in un modo che non saprei spiegare. Gli dissi che si era fatto tardi e che ero molto stanca. Non importava che si disturbasse, avrei fatto chiamare un taxi. Afferrai il soprabito e mi diressi verso la porta.

- Aspetta!

Mi bloccai con la mano sulla maniglia. Lo sentii avvicinarsi alle mie spalle.

- Perché non rimani un altro po’?

- Meglio di no - risposi in un soffio.

Avvicinandosi ancora poggiò la mano sulla porta, i nostri corpi non si toccavano ma dentro di me si riaccese improvvisa la sensazione provata l’ultima volta che ci eravamo visti molti anni prima: non avevo mai dimenticato il calore del suo petto sulla mia schiena e un desiderio folle di goderne di nuovo mi catturò in pochi istanti. Fu sufficiente un movimento all’indietro quasi impercettibile per ritrovarmi tra le sue braccia.

Restammo così immobili per qualche minuto, ero certa che anche lui stesse pensando a ciò che era accaduto quando le sue mani avevano allentato la presa intorno alla mia vita ed io me ne ero andata senza guardare indietro. Ma questa volta la sua mano scivolò leggera e calda sulla mia, mi fece voltare lentamente e se la mise sul petto. Sotto la camicia il suo cuore martellava furibondo quasi quanto il mio. Non ci fu bisogno d’altro, nessuna parola, nessuna spiegazione. Lasciai cadere il cappotto e strinsi entrambe le sue mani portandomele al viso. Chiusi gli occhi e le sue labbra si posarono sulle mie. Sentii la testa iniziare a girare e tremare le ginocchia, mi aggrappai a lui per non cadere. Lui mi strinse afferrandomi per la vita e soffocandomi con un bacio che non mi lasciò scampo.

In pochi istanti mi arresi definitivamente a ciò che il mio corpo gridava, era lui a guidare ogni mio gesto e quasi non mi riconoscevo perché non mi ero mai comportata in quel modo.

La mia bocca cercava avidamente la sua come una terra promessa, come se rappresentasse la salvezza. Il petto schiacciato contro il suo non sembrava soddisfatto, ma reclamava ancora di più ed evidentemente lui lo aveva capito, per questo freneticamente tentava di slacciare il mio vestito. Senza rendermene conto mi voltai per offrirgli la schiena facilitandogli il compito. Il mio abito cadde a terra come il bozzolo di una farfalla, la sua camicia lo seguì e la nostra pelle si fuse come miele.

I ricordi di quella notte vennero presto cancellati dal sorgere del sole. Quando gli rivelai che ero sposata e con chi, mi guardò come se quella appena trascorsa insieme fosse stata l’ultima notte di un condannato a morte. Non poteva crederci, era furioso e distrutto. Mi gridò che non sarebbe mai dovuto accadere e che dovevamo dimenticare ogni cosa. Poi scomparve e qualche giorno più tardi venni a sapere dai giornali che era tornato a Londra.

Erano trascorsi quasi due anni da allora, quando una sera mio marito mi propose un’uscita a sorpresa, dicendomi di prepararmi e di vestirmi elegante.


Capitolo due




“L’amore è cieco e gli amanti non possono vedere le graziose follie che essi commettono”

(William Shakespeare)

 

New York, settembre 1928

 - Non vuoi proprio dirmi dove andiamo?

- Ti ho già detto che è una sorpresa.

- Neanche un piccolo indizio?

- No!

- E poi questa idea sciocca di bendarmi, perché mai…

- Eccoci arrivati, puoi guardare ora!

Liberai gli occhi e mi resi subito conto di dove ci eravamo fermati.

- Ma questo è lo Stratford Theater!

- Indovinato! E sai chi reciterà questa sera dopo molti anni di assenza da New York?

Non dissi nulla perché la risposta era davanti a me: un enorme cartellone pubblicitario annunciava a caratteri cubitali il grande ritorno sulla scena di Terence Graham, nella sua memorabile interpretazione dell'Amleto di Shakespeare. Mi voltai sbalordita verso mio marito il quale mi sorrise dolcemente prima di aiutarmi a scendere dalla Rolls. Una scarica di flash mi ferì gli occhi, accadeva sempre quando partecipavamo insieme a qualche evento pubblico. Era una cosa che non sopportavo, così mi strinsi a lui pregandolo di entrare velocemente. Una volta nel foyer, diverse persone che conoscevamo vennero a salutarci. Alcune signore mi sembrarono particolarmente eccitate all'idea di rivedere Graham recitare, ricordavano con entusiasmo la prima volta che l'attore, ancora giovanissimo, aveva interpretato quel ruolo e si aspettavano una performance ancora più intensa ora che era un uomo maturo e sicuramente di maggiore esperienza. Non mancarono inoltre di commentare il suo fascino straordinario capace a loro dire di incantare qualsiasi donna.

La campanella che annunciava l'inizio dello spettacolo mi fece sussultare, ero decisamente nervosa ed ebbi l'impressione che mio marito se ne fosse accorto.

Prendemmo posto nel palco a noi riservato, insieme ad alcuni amici. Di lì a poco si sarebbero spente le luci ed io speravo che l'oscurità mi avrebbe aiutato a nascondere l’agitazione. Continuavo a chiedermi perché mai avesse organizzato una sorpresa del genere. Da quando ci eravamo sposati non avevamo più parlato di Terence, perché proprio ora gli era venuto in mente che potesse farmi piacere vederlo recitare?

Il sipario si aprì e fui costretta ad abbandonare le mie domande anche perché, quando il principe di Danimarca fece il suo ingresso sul palcoscenico, la mia mente non fu più capace di seguire nessun tipo di ragionamento logico. La sua voce decisa invase tutto il teatro catturando il pubblico e trasportandolo direttamente lungo le mura di Elsinor, dove il folle Amleto combatteva contro il disfacimento morale del regno, per vendicare la morte del padre. Ogni parola che lui pronunciava era per me come una spada affilata che mi trapassava il petto. Alla fine della prima scena del quinto atto, davanti ad Amleto che gridava il proprio amore per Ofelia sopra la sua tomba, fui sul punto di alzarmi ed abbandonare lo spettacolo.

Mio marito se ne accorse e mi prese la mano chiedendomi se stessi bene. Gli risposi che avrei preferito tornare a casa.

- Siamo quasi alla fine ormai, vuoi proprio andare? - mi domandò senza nascondere la sua delusione.

Acconsentii ad aspettare la conclusione della tragedia, mi dispiaceva rovinare quella serata che aveva organizzato per me. Ma quelle parole continuavano a risuonarmi nella testa.

 

“Amavo Ofelia! Quarantamila fratelli, con tutta la somma del loro amore,

non saprebbero eguagliare il mio! Che cosa faresti per lei?”[1]

 

Si può mai paragonare l’amore fraterno a quello dell’uomo di cui si è innamorate? Che cosa è disposto a fare un uomo per amore di una donna?

L’opera si concluse con la morte di Amleto per mano di Laerte, fratello di Ofelia. Il pubblico liberò la tensione trattenuta per tutti e cinque gli atti in un fragoroso ed interminabile applauso. Dopo la chiusura del sipario, tutti gli attori ricomparvero sul palcoscenico. Il volto di Terence Graham non aveva ancora del tutto abbandonato il pathos dell’interpretazione, ma all’improvviso sorrise ed io istintivamente feci lo stesso.

- Che ne diresti di andare a salutarlo?

- Cosa? Non mi sembra opportuno… è passato tanto tempo.

- Sono sicuro che gli farà piacere, andiamo.

Senza ascoltare le mie proteste, mi trascinò dietro le quinte e non fu difficile per lui avere il permesso di salutare l’attore protagonista, un suo “carissimo amico”, così lo apostrofò all’inserviente che ci aiutò a raggiungere il suo camerino.

- Signor Graham, un suo caro amico chiede di poterla salutare.

Non aspettammo la risposta e mio marito si fece strada per entrare nella stanza, salutando l’amico a gran voce. Era un atteggiamento piuttosto strano da parte sua, solitamente molto rispettoso delle regole, ma in quel momento non ci feci troppo caso preoccupata com’ero della reazione che avrebbe avuto Terence nel vederci.

Rimase letteralmente senza parole, con lo sguardo che vagava da me a mio marito cercando invano una spiegazione logica. Anch’io ero impietrita mentre lui riceveva i nostri più sinceri complimenti.

- Ero certo che saresti diventato un grande attore e stasera ho finalmente potuto constatare con i miei occhi quanto tu sia bravo. I giornali non esagerano affatto quando scrivono di te e della tua genialità artistica!

- Sono onorato che abbiate assistito allo spettacolo e che vi sia piaciuto… i giornali però esagerano sempre un po’ – rispose Terence imbarazzato, stringendo la mano che gli era stata offerta dall’amico.

- Mi farebbe un enorme piacere invitarti a cena domani sera, se non hai già altri impegni, che ne dici Candy?

- Beh io…

- Temo non sia possibile, domani sera ho la replica dello spettacolo e fra due giorni inizia la tournée, mi dispiace ma sono costretto a rifiutare.

- È veramente un peccato, ma la prossima volta che torni a New York ricordati che sei in debito con me!

- Me lo ricorderò.

Qualcuno degli altri attori venne a chiamarlo per partecipare alla conferenza stampa con i giornalisti.

- Scusatemi, devo proprio andare, è stato un piacere.

- Ne ero sicuro. Arrivederci Terence.

Uscimmo dal teatro e tornammo a casa. Mi sentivo sfinita e non avevo detto una parola per tutto il tragitto. Al nostro arrivo la tata mi informò che il bambino era piuttosto agitato e si era svegliato spesso, così lo presi con me e mi rifugiai nella mia camera. Mio marito venne a darci la buonanotte, poi si ritirò nel suo studio.

Per tutta la notte non riuscii a chiudere occhio. Mentre il piccolo dormiva tranquillo vicino a me, io non facevo altro che ripensare a quanto accaduto quella sera. Mi sentivo tremendamente in colpa verso mio marito per averlo tradito, ma anche verso Terence.

- Avrei dovuto trovare una scusa ed evitare che ci vedesse insieme, penserà che l’ho fatto apposta, che mi sono voluta vendicare per quello che è successo tra noi…

Il giorno dopo mi trovavo da sola in casa. Mio marito era partito di nuovo per un improvviso impegno di lavoro. L’avevo pregato di non andare.

- Mi avevi promesso che ti saresti fermato a New York per tutto il mese…

- Lo so, perdonami amore mio, ma è insorto un problema che richiede assolutamente la mia presenza. Non ci vorrà molto, un paio di settimane dovrebbero bastare.

- Un paio di settimane! Potrei venire con te…

- Ti annoieresti solamente… e poi c’è il bambino, meglio non lasciarlo solo per troppo tempo, non può fare a meno di te.

- Tu si invece?

- Saprò farmi perdonare quando torno.

Mi aveva dato un bacio ed era uscito di casa molto presto. Dopo quella sera a teatro, temevo di rimanere di nuovo da sola ed avevo ragione.

Presi il telefono e chiamai in teatro, senza rendermi conto che erano appena le due del pomeriggio ed era ancora chiuso. Dovevo assolutamente vederlo prima che ripartisse. Composi di nuovo quel numero almeno cento volte fino a quando mi rispose un inserviente dicendomi che Graham non poteva affatto essere disturbato, a meno che non fosse una questione di vita o di morte.

- La prego, è molto importante… solo un minuto.

- Mi dispiace signora, non è possibile – sentenziò prima di chiudere la chiamata.

Mi sentii perduta. Non avevo idea di come fare a contattarlo. A volte però la disperazione riesce a suggerire strade inaspettate. Mi venne in mente l’immagine del suo camerino la sera prima, pieno di fiori. Uscii di corsa e girai tutti i fiorai della zona per trovare quelli che volevo, glieli feci consegnare in teatro con un biglietto.

 

Gli avevo dato appuntamento in un piccolo albergo sperduto fuori città. Era molto tardi, lo spettacolo era finito da circa due ore e lui non arrivava. Ero terrorizzata. Quando finalmente vidi la maniglia della porta muoversi, quasi non ci potevo credere.

- Temevo che non saresti venuto…

- Non mi hanno mai mandato dei narcisi…

Mentre lo aspettavo ripercorrevo nella mia mente tutte le cose che avrei voluto dirgli, ma ora che era davanti a me non riuscivo a ricordare più niente. Tremavo come una foglia.

- Stavo prendendo del tè, ne vuoi?

- Sì grazie.

Ci sedemmo intorno ad un piccolo tavolo rotondo. Restammo in silenzio per un po’.

- Com’è andato lo spettacolo?

- Bene… ma non è per questo che mi hai chiesto di venire qui o sbaglio?

Mi alzai in piedi.

- È che non so da dove cominciare…

- Intanto potresti dirmi di chi è stata la brillante idea di venirmi a salutare ieri sera.

- È stato lui ad organizzare la serata… ha pensato di farmi una sorpresa.

- E tu poi hai pensato di farla a me!

- No!

- Quando è entrato in camerino ho creduto che volesse spaccarmi la faccia! E avrebbe fatto bene!

- Lui non sa niente…

- Candy… a che gioco stai giocando!

- Non sto giocando!

- Quando me ne andai due anni fa, dopo quello che era successo, tu sai perché… non potevo sopportare di tradirlo in quel modo.

- Nemmeno io! Ma da quel giorno non vivo più… non ho fatto altro che colpevolizzarmi per quella notte che abbiamo trascorso insieme e ho fatto di tutto per dimenticare, ma è stato inutile e ieri sera in teatro l’ho capito chiaramente… oh Terry aiutami ti prego!

- Fra due giorni parto, vado in tournée negli Stati Uniti, per tre mesi non sarò a New York, non ci vedremo più e tutto tornerà a posto.

- No… abbiamo già provato a stare lontani e non è servito a niente, almeno non per me.

Lo guardai cercando i suoi occhi. Da quando era entrato in quella stanza non ci eravamo scambiati neanche uno sguardo, lui si era mantenuto distante, nessun abbraccio, nessun bacio. E continuava anche in quel momento a mostrare freddezza verso di me. Iniziai a mettere a fuoco la situazione: da molto tempo non ci vedevamo, lui era stato in giro per l’Europa… chissà quante donne aveva conosciuto, frequentato…

Mi sentii mancare il respiro e per un attimo credetti davvero che fosse tutto finito, poi finalmente mi guardò.

- Sarei qui se ti avessi dimenticata? Non potrò mai farlo.

Mi avvicinai e lo abbracciai, lui mi strinse più forte che poteva.

 

Nei due mesi che seguirono, ogni volta che potevo lo raggiungevo nella città in cui stava recitando: Boston, Washington, Atlanta… macinavo miglia su miglia pur di vederlo. Mi fermavo con lui solo per una notte e poi tornavo a casa. A mio marito inventavo mille scuse, di solito gli dicevo che viaggiavo per raccogliere donazioni, la fondazione di beneficenza di cui mi occupavo ne aveva molto bisogno. Del resto anche lui era spesso lontano.



[1] W. Shakespeare, Amleto, Atto V scena I.


Capitolo tre




“Stare con te o non stare con te è la misura del mio tempo”

(Jorge Luis Borges)

 

 

Boston fu la prima città dove lo raggiunsi. In realtà lui non lo sapeva. Dopo che ci eravamo visti a New York e mi aveva detto che sarebbe partito per la tournée, eravamo rimasti d’accordo che in quei tre mesi non ci saremmo visti né sentiti. Solo al suo ritorno avremo deciso insieme cosa fare. Sul momento avevo accettato quel patto e gli avevo promesso che mi sarei impegnata a rispettarlo, ma poi… non ce l’avevo fatta.

 

- Candy… che cosa ci fai qui?

- Non mi fai entrare?

- È successo qualcosa, stai bene?

- Non è successo niente ma… non sto bene!

Mi fece accomodare su una poltrona e mi prese dell’acqua. Quando mi fui calmata un po’ gli spiegai il motivo per cui ero lì.

- Avevo bisogno di vederti, quando sei lontano mi manca l’aria, rischio di impazzire.

- Candy…

- Ti prego non arrabbiarti, lo so che avevamo fatto un patto, ma lui non lo saprà… è partito, si trova in Brasile adesso…

- Che cosa stai dicendo! – gridò Terence, pentendosi probabilmente subito dopo di averlo fatto. La guardò meglio e si rese conto che Candy davvero non stava bene, aveva perso peso e i suoi occhi non brillavano più di quel verde splendente che lo aveva fatto innamorare molti anni prima.

- Quando torna? – le chiese allora dolcemente.

- Fra una settimana… ma io devo rientrare a New York domani, non preoccuparti non ti darò nessun fastidio, so che anche la compagnia deve ripartire.

- Sei venuta fin qui solo per fermarti qualche ora?

- Sì… pensi che sia pazza?

- No non lo penso… vieni qui.

Ci abbracciammo. Era molto tardi, l’ultimo spettacolo era terminato da un paio d’ore.

 

Gli dissi che avevo bisogno di fare un bagno. Entrai nella vasca e l’acqua calda riuscì a sciogliere un po’ della tensione accumulata in quegli ultimi giorni. Non era stato semplice decidere di raggiungerlo. Avevo provato più volte a contattarlo telefonicamente ma senza successo. Mi mancava disperatamente tanto da avvertire come un vero e proprio dolore fisico che mi chiudeva lo stomaco e mi faceva scoppiare la testa. Ora che ero con lui sentivo il battito del mio cuore tornare normale e una sensazione di calma invadermi lentamente da capo a piedi. Nella vasca mi addormentai. Fu lui ad avvolgermi in un accappatoio e a mettermi a letto. Dormii profondamente per tutta la notte. Quando alle prime luci dell’alba mi svegliai ebbi la netta sensazione di essere ancora immersa in un bel sogno. Il viso di Terence placidamente addormentato sul cuscino era davanti a me. Potevo sentirlo respirare e il suo profumo penetrava nelle mie narici fin quasi a stordirmi. Mi mossi lentamente per paura di svegliarlo, ma non potei resistere e poggiai le mie labbra leggere sulle sue. Pochi istanti dopo aprì gli occhi e mi sorrise.

- Buongiorno, dormito bene? - gli sussurrai ancora sulle sue labbra.

Lui rispose restituendomi il bacio.

- E tu?

- Non dormivo così profondamente da molto tempo.

- Di solito non faccio questo effetto alle donne – scherzò lui.

- Immagino… ne hai avute molte? – gli chiesi irritata dalla sua solita sfacciataggine.

- Che domanda è? – protestò.

- Rispondi… sei stato con molte donne?

- Vuoi saperlo davvero?

- Sì!

- Qualcuna.

- È un po’ vaga come risposta.

- Non le ho contate!

- Oh Terry!!!

- Di una cosa però sono sicuro… non avevo mai dormito tutta la notte con nessuna… fino ad oggi.

- Non ci credo.

- È la verità.

- Non hai mai provato il desiderio di restare con una donna fino al giorno dopo, di vedere l’alba insieme?

- No, non è mai successo… o me ne andavo io o se ne andava lei, dipendeva solo da dove eravamo. Fare sesso è una cosa ma dormire insieme… presuppone un tipo di rapporto diverso che non si limiti solo ad una… hai capito no!

- Sì ho capito… mi dispiace, ieri sera sono crollata e…

- Non devi scusarti, è stato molto bello dormire con te.

- Terry…

Mi strinse ricoprendomi di piccoli baci.

- Adesso però è meglio che ci alziamo, tu hai un treno da prendere ed io pure.

Mi volle accompagnare alla stazione e dopo avermi chiesto mille volle se mi sentissi bene ed essersi assicurato che fossi in grado di affrontare da sola il viaggio di ritorno, mi salutò facendomi promettere di aver cura di me e anche di non fare più una follia come quella. Mi scrisse su un biglietto il numero di telefono del prossimo albergo in cui avrebbe alloggiato, a Washington: lo misi nella tasca del cappotto come fosse il più prezioso dei tesori.

Durante il viaggio di ritorno, ripensavo a quelle poche ore trascorse insieme. Avevamo solo dormito eppure anche semplicemente stargli accanto mi faceva sentire felice e al sicuro, in sintonia con la vita. Sapere che lui esisteva, che potevo vederlo, parlargli, era in quei giorni l’unica cosa che mi faceva andare avanti.

 

*******

 

New York, dicembre 1928

 

Venni a sapere che Terence era tornato, ma non avevo idea di come fare per vederlo. L’ultima volta che ci eravamo sentiti per telefono era ancora in viaggio e mi aveva assicurato che si sarebbe fatto vivo lui una volta arrivato in città. L’attesa di un suo messaggio mi rendeva tremendamente nervosa. Alternavo momenti di rabbia a crisi di pianto improvvise. Mio marito era preoccupato. L’avevo sentito qualche giorno prima parlare al telefono con il medico. Credeva che fosse a causa del bambino che non mi dava tregua, la notte dormiva pochissimo e sembrava non mangiare a sufficienza, per cui stava crescendo poco e lentamente. Anch’io ero in pensiero per lui, ma ciò che mi faceva star male era questa continua sensazione di essere come dentro una gabbia che diventava ogni giorno più piccola e non mi lasciava via d’uscita.

 

Una sera non ce la feci più ad aspettare, presi l'auto e mi fermai in una strada vicina al teatro. Sapevo da quale parte sarebbe uscito per evitare i giornalisti così, quando vidi passare la sua Ford lo seguii. Si diresse verso Central Park, poi d'un tratto svoltò in una strada senza uscita, fermandosi davanti ad un grande cancello. Nell'attesa che venisse aperto, si accorse della mia auto che era dietro di lui, scese e mi venne incontro a piedi.

- Candy, sei impazzita… qualcuno ti ha vista?

- Credo di no.

- Svelta seguimi.

Il cancello si aprì, Terence mi indicò dove parcheggiare. Mi ritrovai in quello che sembrava un grande parco alberato, illuminato qua e là da piccoli lampioni bianchi. Mi prese per mano e, dopo aver fatto cenno al custode che era tutto a posto, entrammo in casa. Mi sembrava molto infastidito dalla mia visita, così cercai di scusarmi dicendo che avrebbe dovuto chiamarmi lui una volta in città…

- Ho avuto da fare in teatro - rispose nervosamente dopo aver acceso una sigaretta.

- Immagino - commentai un po’ avvilita.

Poi presi un pacchetto dalla borsa e glielo detti.

- Anche se in ritardo… Buon Natale.

- Un regalo? Un regalo per me?

Annuii sorridendo, invitandolo ad aprirlo.

- Un'edizione del Settecento di Romeo e Giulietta… caspita! Dove l'hai trovata?

- Un amico antiquario mi ha dato qualche dritta! - esclamai soddisfatta. 

- È bellissima… grazie, io non…

- Potresti leggermi qualche battuta… per farti perdonare!

- D'accordo. 

Ci sedemmo davanti al camino acceso e lui iniziò a leggere. Lo osservavo incantata come sempre dalla sua voce che sapeva modulare in mille sfumature diverse. Chiusi gli occhi e quasi senza rendermene conto, adagiai la testa sopra la sua spalla. Si fermò un istante poi riprese concludendo la pagina.

Lo sentii voltarsi leggermente verso di me, aprii gli occhi e incontrai i suoi splendenti e caldi più della fiamma che ardeva nel camino. Ci volle un attimo perché le nostre labbra annullassero la poca distanza che ancora le separava.

Mi fermai per un paio d’ore con lui, poi dovetti far ritorno a casa. E qui iniziava il mio inferno. La prima cosa che dovevo fare assolutamente, ma che non avrei mai voluto fare, era lavarmi per togliermi il suo odore di dosso, pregando di non incontrare mio marito prima di averlo fatto. Dovevo cancellare dalla mia vita quelle due ore meravigliose trascorse con Terence e sapevo che per farlo non sarebbe bastato eliminare quel profumo dalla mia pelle. Lui non restava in superficie, lui era dentro di me sempre ed ogni suo gesto, ogni sua espressione affioravano in ogni mio gesto e in ogni mia espressione, facendomi temere che chiunque se ne sarebbe potuto accorgere. Per cancellare lui avrei dovuto cancellare me stessa e forse era quello che stavo facendo ogni volta che non eravamo insieme: Candy stava scomparendo piano piano.

I nostri incontri erano sublimi e crudeli nello stesso tempo. Era come raggiungere vette altissime di felicità e poi sprofondare negli abissi più bui. Nel momento stesso in cui il nostro desiderio esplodeva attraverso i corpi intrecciati subito si insinuava nelle nostre anime la feroce consapevolezza che tutto era destinato a finire. Quell'amore non ci apparteneva, se non per brevi istanti, era solo un'illusione destinata a scomparire. Ma ogni volta non volevamo arrenderci e tornavamo a cercarci, ricadendo consapevolmente nello stesso errore.

Terence aveva tentato di starmi lontano, per capire, ma da quando era tornato a New York non c'era più riuscito,  anche perché io non lo stavo aiutando. Tuttavia si rendeva conto, sicuramente più di me, che ci stavamo consumando lentamente e aveva paura che avremmo finito con l’odiarci perché incapaci di andare fino in fondo ed amarci totalmente. Questo era ciò che lo spaventava di più e da mesi ormai mi chiedeva di parlare con mio marito, di mettere le cose in chiaro.

O lo fai tu oppure lo faccio io!, mi aveva detto l’ultima volta che ci eravamo visti, a casa sua. Ma io non ci riuscivo: non ero capace di deludere l’uomo che mi aveva salvato nel momento più buio di tutta la mia vita. Durante i primi mesi di matrimonio ci avevo creduto veramente, pensavo che sarei riuscita ad amarlo come meritava. Lui era perfetto, gentile, divertente, intelligente, persino molto bello… ma non era Terence.

Il nostro primo incontro, così improvviso, come un fulmine che attraversa un cielo limpido e sereno, aveva squarciato il velo della mia ipocrisia, mostrandomi cosa avrei trovato al di là se solo avessi avuto il coraggio di attraversarlo. Pagai molto cara la mia codardia.

Un pomeriggio, il bambino non stava bene ed era molto inquieto. Mio marito non c’era ed io, naturalmente, avevo un appuntamento per la sera. Non me la sentii però di affidare il piccolo alla tata, così chiamai Terence per avvisarlo che non sarei andata da lui. Mi chiese se ci fosse qualche problema ed io molto semplicemente gli risposi che il bambino aveva un po’ di febbre. Un pesante silenzio cadde improvviso tra noi, come se dall’altra parte del telefono non ci fosse nessuno, poi…

- Hai detto… il bambino?

- Sì – risposi titubante.

- Di quale bambino stai parlando Candy?


Capitolo quattro




“L’amore è troppo giovane per sapere cos’è la coscienza”

(William Shakespeare)

 

 

New York, giugno 1929

 

- Quando pensavi di dirmelo? Ammesso che tu avessi intenzione di farlo!

- Io non lo so… credevo che non fosse importante… credevo che non cambiasse le cose…

- Che non fosse importante?! Cristo, Candy! Un bambino… avete un bambino, un figlio vostro! Come hai potuto pensare che questo non cambiasse le cose!

Terence era furioso ed io forse solo in quel momento, davanti alla sua disperazione, mi resi conto di quello che avevo fatto.

Avevo insistito molto per parlargli e così alla fine aveva ceduto e ci eravamo incontrati nel solito albergo fuori città. Lo avevo trovato seduto sul letto con la testa fra le mani, non voleva neanche guardarmi. Quando mi ero avvicinata a lui, si era alzato di scatto e avevamo iniziato a litigare.

- Io non ti riconosco più! – mi aveva gridato.

Aveva camminato a lungo avanti e indietro per la stanza, maledicendosi, dicendo che avevamo sbagliato tutto, che non potevamo andare oltre.

- Troveremo una soluzione – mormorai.

- La soluzione adesso è una sola.

La sua voce risuonò come un vetro rotto, distrutta e tagliente.

- Candy ascoltami…

- No…

Mi prese per le spalle e i suoi occhi erano lucidi.

- Quel bambino non ha nessuna colpa, lui ha una famiglia, voi due siete la sua famiglia.

- No… non puoi…

- Tu non puoi, non puoi chiedermi questo… non a me. Non sarò io a rovinare la vita di quel bambino, non me lo perdonerei mai… mi dispiace.

- Credi che vivere con due genitori infelici sia la cosa migliore per lui?

- Sono sicuro che non gli farete mancare l’amore di cui ha bisogno, siete entrambi due persone eccezionali e lui è un bambino molto fortunato…

- Invece finirò per odiarlo!

- Ma che cosa dici? Tu sarai una madre meravigliosa!

- No… non senza di te.

- Candy ti prego, abbiamo avuto la nostra occasione e l’abbiamo sprecata molto tempo fa… ora è troppo tardi e questo bambino ne è la prova. Se la finiamo adesso, tutto tornerà a posto, dobbiamo solo dimenticare…

- Solo dimenticare! – gridai - Come puoi dire questo… io non voglio dimenticare e anche se volessi non potrei!

- Quando l’hai sposato però ci sei riuscita!

- Sei ingiusto se pensi questo! Ho tentato e ho fallito, ora ne ho la certezza, non puoi pretendere che torni indietro come se niente fosse successo tra noi!

- Non sarà facile, ma dobbiamo…

- No Terry, ti prego, parlerò con lui… te lo giuro…

- No Candy non devi, sono sicuro che te ne pentiresti quando vostro figlio te lo rinfaccerà!

- Dimmi la verità, se non ci fosse di mezzo un bambino che cosa faresti?

- Questo non ha più importanza ormai.

Restammo qualche minuto in silenzio, Terence sembrava assorto nei suoi pensieri, come se stesse riflettendo per trovare una soluzione. Alla fine decise lui per tutti.

- Devo andarmene, è l’unico modo. Alcuni amici mi hanno invitato a trascorrere una vacanza in Italia. Avevo rifiutato pensando che… ma ora…

- Non voglio!

Mi sedetti piangendo disperata. Lui si inginocchiò davanti a me e mi prese le mani.

- Mettere un oceano tra noi forse ci aiuterà, perdonami.

 

*******

 

Non potevo credere che stesse accadendo di nuovo. Lui se ne era andato un’altra volta, convinto che in questo modo tutto sarebbe andato a posto. Io non riuscivo a comprendere come avrebbe fatto, certo sapere del bambino lo aveva sconvolto. Lui che era cresciuto senza l’affetto dei genitori, non poteva accettare di esserne la causa. Questo potevo capirlo, avevo visto con i miei occhi quanto Terence avesse sofferto, ma non era sufficiente. Ora che se ne era andato restava solo un grande vuoto dentro di me. Mi sembrava di sprofondare in un abisso buio in cui continuavo inutilmente a cercare la sua mano.

Mio marito era tornato dal Brasile e sembrava essere sempre più preoccupato per la mia salute. Avevo poco appetito e, con la scusa che il bambino spesso non mi faceva dormire la notte, passavo gran parte del pomeriggio a letto.

Un giorno trovai in salotto alcuni giornali che venivano consegnati quotidianamente. Si trattava perlopiù di quotidiani specializzati in economia e finanza. Io non li leggevo mai. Ma quella volta tra le pagine grigie apparve una rivista, una di quelle in cui si parla di spettacolo, arte e tutto ciò che riguarda l’alta società. Mi misi a sfogliarle per tentare di distrarmi, sarebbe stato meglio non lo avessi fatto! Circa a metà un articolo di quattro pagine riportava dettagliatamente, con tanto di servizio fotografico, la vacanza che il famoso attore shakespeariano Terence Graham stava trascorrendo in Italia, sulla costiera amalfitana. Scendendo nei particolari, si parlava del fatto che Graham fosse ospite di amici ma che in realtà, tra questi amici, ci fosse una donna con la quale era stato avvistato spesso in vari locali notturni o a passeggio sul lungomare.

La donna, o meglio la ragazza essendo evidentemente molto giovane, si chiamava Greta[1] e aveva ottenuto negli ultimi anni un grandissimo successo recitando in film dove quasi sempre interpretava il ruolo di femme fatale. Le foto che li ritraevano insieme sembravano parlar chiaro. Strappai la rivista e la scaraventai per terra. Dopo qualche minuto la sua mano la poggiò sul tavolo. Non lo avevo sentito entrare.

- Ti è caduta questa – mi disse.

- Grazie.

La sera a cena mi fece una proposta che non mi aspettavo.

- Che ne diresti di prenderci una vacanza?

- Una vacanza? – domandai stupita.

- Sì… sai del tipo andiamo dove vogliamo, facciamo cosa ci piace… una vacanza insomma! – esclamò sorridendo.

- So cos’è una vacanza! È solo che mi sembra che tu non avessi tempo per certe cose.

- Beh un paio di affari si sono risolti andando in porto prima del previsto, per quel che resta può tranquillamente occuparsene Archie… per cui direi che possiamo partire. Dove ti piacerebbe andare?

- Non saprei… potremo andare a La Porte e poi…

- Oh no, no, no… io intendo una vacanza vera, in un posto che non hai mai visto.

Ci pensai un po’ e poi…

- Mi piacerebbe visitare l’Europa.

- Ottima scelta, ma è un po’ grande… proviamo a restringere il campo: che ne pensi dell’Italia?

Abbassai lo sguardo sul piatto che avevo davanti per nascondere come quel nome mi portasse inesorabilmente a Terence, provocandomi una fitta acuta mista di gioia e dolore.

- Ma tu ci sei già stato… - balbettai giocherellando con un pezzo di carne.

- Ci sono solo passato… è trascorso molto tempo, visitarla con te e il bambino sarebbe decisamente un’altra cosa. Allora? Facciamo le valigie?

- D’accordo.

- Hai sentito? Andiamo in vacanza? Sei contento? – si rivolse al bambino prendendolo in braccio e facendolo volare.

I bagagli vennero preparati molto velocemente e dopo due giorni partimmo alla volta dell’Italia. Il programma era quello di visitare la costa occidentale a bordo di uno yacht che un amico ci aveva gentilmente offerto. Diceva che non lo usava quasi mai, lasciandoci intendere che in realtà eravamo noi a fargli un favore mettendolo in moto. Al momento del nostro arrivo era attraccato nel golfo di Napoli.

 

*******

 

Amalfi, luglio 1929

 

- Non vieni a fare il bagno?

- Magari più tardi, ora c’è troppa gente – le rispose l’attore, comodamente sdraiato al sole, da dietro un paio di Sam Foster scuri.

- Gli occhiali da sole andrebbero vietati per legge a chi ha gli occhi belli come i tuoi! – continuò a stuzzicarlo Greta strappandogli un leggero sorriso.

- Temo che i complimenti non abbiano effetto su di te… del resto ormai ci sarai abituato. Pare che tu sia uno degli scapoli più ambiti al momento, però della tua vita privata non si sa praticamente nulla, potresti anche essere già sposato!

L’attore continuava a non scomporsi. Greta si sdraiò sul lettino accanto al suo e con voce suadente gli mormorò all’orecchio – Chi sei in realtà?

Lui le rispose senza voltarsi – Terence Graham Granchester, nato a Londra il 28 gennaio del 1897 da padre inglese e madre americana, attore di teatro, scapolo senza figli. Attualmente in vacanza in Italia ospite di amici tra i quali una particolarmente impicciona!

- Oh Terence sei impossibile! – esclamò Greta dandogli uno spintone ed entrambi scoppiarono a ridere.

- Allora sappi che l’amica impicciona vuole sapere anche che cosa stavi leggendo, dammi un po’ quel libro.

Terence prese il libro e lo passò alla ragazza con sufficienza, come se la cosa non lo riguardasse.

- Rainer Maria Rilke, ci avrei scommesso che leggevi poesie… sembri uno tanto spavaldo ma secondo me hai un animo tenero.

- Ma sentila!

- Vediamo… qui hai messo un segno, quindi questa deve essere la tua preferita.

L’attrice si schiarì la voce ed iniziò a leggere:

 

“Spegni i miei occhi, lo stesso ti vedo, chiudi le mie orecchie, riesco ad ascoltarti, ti vengo incontro anche senza piedi e senza bocca posso supplicarti. Spezzami le braccia e col cuore, come fosse una mano, io ti prendo, arresta il cuore, sarà la mente a pulsare, e se nella mente fai scoppiare un incendio, nel sangue allora ti saprò portare”

 

- Intenso e pieno di passione, parla d’amore, di un amore che non si arrende – commentò al termine della lettura.

- Di un amore disperato – proseguì lui come se stesse parlando al mare che aveva davanti.

- Non credo sia un argomento che possa riguardarti.

- Dici?

- Vorresti farmi credere che sei in vacanza in uno dei paesi più belli che possano esistere, con un mare stupendo, un sole che scalda i sensi, corteggiato dalle donne più seducenti del pianeta, inclusa la sottoscritta naturalmente, me tu preferisci fare il lupo solitario e startene qui a leggere poesie tristi solo perché vuoi dimenticare un amore disperato? A chi vuoi darla a bere Graham!

Lui si voltò e le sorrise come per ringraziarla di aver capito tutto.

- Oh mio dio, non sorridermi in quel modo ti prego o potrei svenire!

- Ma quanto sei…

- Adorabile? Volevi dire adorabile, giusto?

- No!!!

- Allora Graham mettiamola così: o mi racconti tutto del tuo amore disperato oppure andiamo a fare il bagno, scegli tu.

- Andiamo in acqua così magari ti affogo!

- Bene! Sei sempre così simpatico?

- A volte anche peggio…



[1] Personaggio liberamente ispirato a Greta Garbo, attrice svedese naturalizzata statunitense, fra le più celebri della storia del cinema. Nata a Stoccolma nel 1905, soprannominata la Divina, ottenne un grandissimo successo sia nell’epoca del cinema muto che del sonoro.


Capitolo cinque




“Non ti sei chiesto perché un attimo, simile a tanti del passato, debba farti d’un tratto felice, felice come un dio?

… Per un attimo il tempo si ferma e la cosa banale te la senti nel cuore come se il prima e il dopo non esistessero più.”

(Cesare Pavese)

 

 

Amalfi, luglio 1929

 

Chissà perché gli era tornato in mente all’improvviso quel momento? Forse per il giallo dei limoni che lo accompagnavano mentre passeggiava o per il verde del mare che quella mattina risplendeva così limpido da riuscire a vedere con facilità il fondo. Tutto sembrava congiurare contro di lui, facendo riaffiorare ricordi che lo avevano cambiato per sempre.

Quel giorno sulla collina, mentre se ne stava placidamente disteso tra i narcisi, lei arrivò come una furia, cadendogli direttamente tra le braccia. Era la prima volta che i loro corpi si toccavano e tutto fu diverso da quel momento. Nessuno dei due aveva mai provato una sensazione simile, nessuno dei due aveva mai sperimentato la passione d’amore: il desiderio, per certi versi inspiegabile, di voler stare vicini anche solo per sentirsi respirare, che regala un’ebbrezza violenta mista a tenera pace.

Ogni attimo con lei era unico e non bastava mai. In Scozia avevano iniziato a cercarsi continuamente, pur negando di non poterne fare a meno. Finite le vacanze, anche a scuola, dopo essere tornati a Londra, trovavano sempre il modo di vedersi anche per pochi minuti, di lanciarsi qualche sguardo o sorriso quando casualmente si incontravano in presenza di altre persone. Non volevano mostrare il loro amore agli altri, forse perché già presagivano cosa sarebbe accaduto.

Infatti tutto era andato a rotoli. Quando lui aveva lasciato Londra avevano ancora nel cuore la speranza di potersi rivedere un giorno, ma dopo l’incidente a Susanna… avevano dovuto sigillare i loro cuori fino a quell’incontro fortuito, o forse no, di tre anni prima.

La notte in cui avevano fatto l’amore per la prima volta se la sentiva ancora addosso, marchiata a fuoco sulla pelle. Stringere il suo corpo nudo, perdersi nel suo profumo, sentirla gridare il suo nome soffocando la voce per non farsi scoprire, baciarla ovunque e prenderla disperatamente tanto da rischiare di impazzire dalla gioia. Quella gioia agognata per anni e repressa perché considerata irraggiungibile, adesso era lì tra le sue braccia e per poche ore si era convinto che lo sarebbe stata per sempre.

Invece no. Era arrivato troppo tardi. Lei sposata con un altro e poi addirittura con un figlio… non era riuscito ad affrontare tutto questo. Aveva mollato soprattutto per rispetto di quel bambino. Chi meglio di lui poteva sapere cosa significasse crescere senza l’amore dei genitori, senza una famiglia unita. E poi lei… cosa ne sarebbe stato di lei? Non era semplice in quegli anni per una donna stare con un uomo dopo aver avuto un figlio da un altro. Non poteva metterla in quella condizione.

Ecco, la ragione gli suggeriva questi pensieri, ma la sua anima in pezzi continuava ad implorarlo di non lasciarla andare un’altra volta. Neanche l’immensità dell’oceano con cui avevano tentato di stare lontani, aveva potuto separarli e cancellare i segni che l’uno aveva lasciato sulla pelle dell’altro. 

 

- Sempre inconsolabilmente immerso nei tuoi pensieri?

- Ciao Greta, perdonami non ti ho sentito entrare.

- Lo credo bene, eri su un altro pianeta. Non riuscirai a dimenticare il tuo amore disperato se non fai altro che pensare a lei!

- Dove sono gli altri?

- In spiaggia naturalmente… mi hanno mandato a chiamarti, le mie amiche ti reclamano anche se ho l’impressione che non abbiano la minima speranza.

- Non lo avrai detto anche a loro, così mi rovini la piazza!

- Impossibile! Da quando sei approdato in Italia credo che ci sia stata un’impennata delle prenotazioni!

Terence scoppiò a ridere.

- Dai andiamo, i ragazzi hanno organizzato una gara di sci nautico e aspettano solo te per cominciare.

- Farebbero meglio a iniziare senza di me, non lo sanno che sono il re dello sci nautico?

- Vediamo che sai fare, per ora sei solo un adorabile presuntuoso!

 

La villa dove Terence Graham stava trascorrendo le vacanze si trovava lungo la rocciosa costiera amalfitana, in un punto panoramico da cui si godeva di una splendida vista e di incantevoli tramonti che tingevano di rosa il bianco candido delle pareti, in mezzo al verde scuro della macchia mediterranea. Era un edificio molto grande con ben dieci camere con bagno privato, in quel momento risultavano tutte occupate da una compagnia piuttosto eterogenea composta da cantanti, attori sia di teatro che di cinema, alcune ballerine.

Terence era stato invitato da Edward Gordon Craig, attore e critico teatrale che negli ultimi anni si era dedicato soprattutto alla scenografia ed aveva curato quella per il nuovo Amleto di Graham. Lavorando insieme era diventati grandi amici forse perché anche lui era figlio illegittimo di un architetto e di un’attrice e a 21 anni aveva deciso che “Craig” sarebbe stato il suo unico nome. Da diversi anni ormai si era stabilito in Italia, dopo aver fondato a Firenze una Scuola di Arte e Teatro. La sua musa ispiratrice era stata la ballerina Isadora Duncan, scomparsa un paio di anni prima in circostanze tragiche.

C’era poi il gruppo degli attori shakespeariani emergenti che Terence conosceva bene: Laurence Olivier il quale, appena ventiduenne, aveva di recente ottenuto un discreto successo con La bisbetica domata e John Gielgud che si stava preparando per interpretare all’Old Vic di Londra nientemeno che Romeo e Giulietta. Anche il cinema era degnamente rappresentato in particolare da Al Jolson, un cantante e attore russo naturalizzato americano, che era stato il protagonista del primo film sonoro in assoluto, The jazz singer, uscito nella sale statunitensi il 6 ottobre del 1927, riscuotendo un enorme successo. Tuttavia la sua personalità piuttosto esuberante aveva fatto ben presto declinare la sua carriera cinematografica e si era dedicato soprattutto alla musica. Era in effetti un tipo piuttosto eccentrico. Si trovava ad Amalfi in compagnia della terza moglie, l’attrice Ruby Keeler appena ventenne. C’erano poi le due sorelle Costello, Helen di recente passata dal cinema muto al sonoro, e Dolores (fresca sposa del noto attore di teatro John Barrymore), le quali erano diventate famose a Broadway con un numero di danza a due. Avevano sentito parlare di Graham ma non lo avevano mai incontrato per cui desideravano approfondire la sua conoscenza.

E poi c’era Greta Garbo, 23 anni, di origine svedese, bellissima, attrice di punta della Metro Goldwin Mayer per la quale aveva interpretato The kiss, l’ultimo film muto della società di produzione cinematografica. In poche settimane si era creato uno stretto rapporto di confidenza tra lei e Terence. Greta lo stuzzicava continuamente per cercare di capire cosa nascondesse il bell’attore dietro quell’aria schiva e misteriosa, tuttavia a chi li osservava non era chiaro del tutto se lo facesse spinta da una morbosa curiosità o da altro.

La sera prima l’allegra compagnia aveva partecipato ad una serata musicale a Ravello, nella moresca Villa Rufolo, splendidamente restaurata intorno alla fine dell’Ottocento da sir Francis Nevile Reid, un lord scozzese esperto d’arte e di botanica. A Terence era piaciuta molto, soprattutto i giardini dove si era intrattenuto fino a notte inoltrata in compagnia dell’instancabile Greta.

- Abbiamo fatto il giro almeno dieci volte, non credi che potremmo riposarci un po’?

- Oh Terence dai, questo è l’ultimo… adoro la vista del golfo da quassù e poi guarda che luna!

La bella svedese aveva cercato in ogni modo di avvicinarsi a lui, inventando una scusa dietro l’altra, cercando spesso la sua mano, mentre salivano i gradini che collegavano i vari livelli del giardino. Ma non c’era stato niente da fare, il bell’attore sembrava immune al suo fascino, così il giorno dopo pensò di tentare il tutto per tutto.

Terence era appena uscito dalla doccia e con l’asciugamano attorno fianchi era rientrato in camera quando una voce femminile lo accolse dandogli il buongiorno. Si voltò e vide nel suo letto ancora disfatto l’amica cui aveva tenuto compagnia la sera prima.

- Ero piuttosto alticcio questa mattina quando siamo tornati, ma posso giurare di essere andato a letto da solo!

- Ma come… non ti ricordi di avermi letteralmente trascinata in camera tua perché non potevi fare a meno di me?

- Se davvero fosse accaduto ciò che dici ed io non me lo ricordassi… non sarebbe troppo lusinghiero per te, non credi?

- Ok… non è successo niente… però siamo ancora in tempo. Oltretutto è una giornata così uggiosa, potrebbe piovere da un momento all’altro. Non sarebbe fantastico trascorrere tutto il giorno sotto le lenzuola, lasciandoci cullare dalla pioggia che tamburella sui vetri, dimenticandoci del mondo?

Terence sorrise poi si diresse verso l’armadio per cercare qualcosa da indossare. Nel frattempo Greta si alzò dal letto e lo raggiunse, asciugando con le proprie labbra alcune gocce d’acqua che lentamente scivolavano lungo la sua schiena abbronzata e liscia. Lui contrasse i muscoli e lei gli si avvicinò ancora di più, lasciando scorrere le mani sul torace.

- Greta… Greta… - mormorò lui in tono di bonario rimprovero, prima di aggiungere – … sei troppo giovane per me!

- Che idiozia! Nessuno è troppo giovane per amare… - continuò lei baciandolo sul collo.

- “Nessuno è troppo giovane per amare”… che cos’è? L’ultima battuta di un tuo film? – la canzonò lui, voltandosi.

Ma lei non lo ascoltò, anzi, trovandosi finalmente faccia a faccia, ne approfittò per baciarlo sulle labbra stavolta, insistendo fino a quando lui non cedette. Fu un bacio provocato esclusivamente dal desiderio fisico del momento e appena lui se ne accorse si staccò da lei scusandosi.

- Perché invece di scusarti non continui? Stavi andando così bene!

- Greta ti prego, non è colpa tua, tu sei fantastica….

- Se il mio essere fantastica non è abbastanza allora lei com’è?

Terence sospirò senza rispondere.

- Unica, giusto?

- Mi dispiace.

- Oh beh, anch’io sono unica… l’unica donna che uscirà insoddisfatta dalla tua stanza!

- Devo dire che l’ironia è senza dubbio la tua arma migliore.

- Si lo so! Ma dimmi piuttosto… dov’è lei adesso?

- A New York immagino.

- Vi siete lasciati prima che tu partissi per l’Italia?

- Più o meno.

- Posso sapere qual è il problema? Ormai siamo “amici intimi” no? – gli chiese strizzandogli l’occhio.

- È sposata.

- Che vuoi che sia, siamo nel ventesimo secolo ormai… chi fa più caso a certe formalità!

- Con il mio migliore amico.

- Ah… però ama te, no?

- Hanno un figlio piccolo.

- Santi numi Graham, ti sei proprio infilato in un bel guaio! Come pensi di uscirne, continuando a crogiolarti nel dolore?

- Evitiamo di parlarne, forse è meglio.

- Perché non provi a divertirti un po’?

- È quello che sto cercando di fare, ma non è facile… - le rispose facendosi serio.

- Ti chiedo scusa… non avrei dovuto sottovalutare i tuoi sentimenti, perdonami.

- Credo tu sia la prima donna che mi chiede scusa.

- Io ci sono comunque, se ti va di parlarne…

- Grazie.

Rimasero qualche istante ancora occhi negli occhi.

- Adesso se vuoi uscire, dovrei vestirmi.

- Devo proprio? Ok vado.

Greta si diresse verso la porta, un attimo prima di uscire si voltò e gli fece un’ultima domanda.

- Dimmi una cosa, per curiosità, sei andato a letto con Marlene Dietrich per caso?

- Come?

- No perché lei continua a dire che è successo, ma io non le credo affatto, non è il tuo tipo! Allora?

- Non è mai accaduto niente tra noi, giuro – rispose Terence alzando le mani, divertito dalla sfacciataggine di Greta che quasi superava la sua.

- Lo dicevo io! Ma se la incontrassi potrei lasciarle credere che invece tu ed io ci siamo divertiti molto quest’estate?

- Assolutamente… ed esagera mi raccomando!

- Non mi sarà difficile!

 

Poco dopo in soggiorno, Terence se ne stava quieto a sorseggiare del tè, ammirando la distesa d’acqua che si apriva sotto di lui, attraverso la grande vetrata ancora carica di pioggia. Il cielo si era un poco rasserenato, anche se nuvoloni scuri si avvicinavano di nuovo minacciosi all’orizzonte. D’un tratto la sua attenzione venne rapita da un grande yacht ancorato all’estremità sinistra del golfo. Chiese ad Al che vicino a lui stava leggendo un quotidiano se conosceva il proprietario dell’imbarcazione.

- Credo appartenga ad un magnate della finanza, un americano. L’ho visto raramente da queste parti perché non lo usa molto. So che è possibile noleggiarlo, ma il prezzo è decisamente alto. Ti interessa?

- No no, semplice curiosità.

- Sta tornando il sole, facciamo un’altra uscita con gli sci?

- Ok.

- Ma questa volta ti batto!

- Vedremo!


Capitolo sei




È un amore impossibile” – mi dici. “È un amore impossibile” – ti dico.

Ma scopri che sorridi se mi guardi, e scopro che sorrido se ti vedo.

(Sesto Aurelio Properzio, I sec. a.C.)

 

 

 

Amalfi, luglio 1929

 

Al Jolson si divertiva come un matto a sfidare il giovane Graham in spericolate gare di sci nautico e, nonostante venisse regolarmente battuto, ciò che più lo esaltava era l'attenzione che quei due pazzi scatenati suscitavano fra i prestigiosi frequentatori della costiera. Il pubblico in spiaggia si divideva fra i due contendenti, acclamando chi uno chi l'altro, e il loro rincorrersi tra le onde veniva sottolineato dai gridolini delle signore e dalle esclamazioni a volte anche piuttosto colorite dei signori. 

Dopo il temporale della mattina, sulla piccola baia era tornato a splendere il sole e Al aveva proposto a Terence una nuova sfida. L'attore ormai determinato a vivere appieno quella vacanza, aveva accettato e già da qualche minuto le loro acrobazie facevano divertire i bagnanti. Il 42enne americano sembrava questa volta reggere il ritmo del ben più giovane e atletico inglese che invece, non appariva in piena forma quel giorno. Dopo una spavalda entrata in acqua, Graham continuava a guardarsi intorno, come se fosse distratto da qualcosa, dovendo spesso tendere meglio la corda che lo legava al motoscafo per evitare di finire a picco. Dopo l'ennesima curva mal eseguita infatti, un brusio di delusione accompagnò la caduta del fascinoso Amleto che rientrò a terra di pessimo umore.

 

Il Margarita era un lussuosissimo panfilo lungo circa 100 metri, di proprietà della famiglia Drexler, facoltosi banchieri di Filadelfia. Già dalla mattina Terence aveva notato la sua presenza, difficile non farlo del resto data la mole dell'imbarcazione, avvertendo una strana sensazione che aveva trovato conferma una volta sceso in acqua con Al. Nonostante la distanza dalla costa, Terence era convinto di aver visto passeggiare a prua una donna bionda che somigliava molto a Candy. Era stato solo un attimo ma era quasi certo che fosse lei, in caso contrario aveva le allucinazioni e stava con tutta probabilità diventando pazzo. Durante la gara di sci con Al, Terence non aveva fatto altro che guardare nella direzione del Margarita, sbilanciandosi più volte col risultato di dover abbandonare la sfida.

Durante il resto della giornata poi non si era più fatto vedere. Era riapparso solamente a tarda sera, nel locale che di solito frequentava insieme al resto della compagnia, il San Domingo di Ravello. Qui incontrò infatti Craig, Laurence e John, con Greta e le sorelle Costello. Fu proprio Helen a chiedergli dove fosse sparito tutto il pomeriggio.

- Avevo da fare – fu la telegrafica risposta dell’attore che non sembrava affatto in vena di sostenere una  conversazione.

L’aria della sera era piuttosto fresca, per cui rimasero al caffè in piazza Duomo solo per una mezzora, prima  di rifugiarsi di nuovo a Villa Rufolo, dove per la gioia delle ragazze si poteva ballare.

- C’è molta gente in giro, rispetto a qualche giorno fa – commentò Terence seduto ad un tavolino, insieme a Craig e Greta.

- Vedo molte facce conosciute, sembra che quest’anno ci siamo dati tutti appuntamento in costiera.

- Hai ragione Craig, si finisce sempre per incontrare la stessa gente – si lamentò Greta prima di invitarlo a ballare.

I due si diressero verso la pista, lasciando Graham al tavolo insieme ad Helen che sperava di poter ballare con lui e magari approfondire la conoscenza. Tuttavia il bell’attore non sembrava interessato e continuava a lasciar andare lo sguardo in giro, giocherellando con il bicchiere privo ormai del suo Mary Pickford.[1]

L’orchestra che si esibiva faceva dell’ottima musica e la cantante, Ruth Etting, aveva una voce particolarmente calda che piaceva molto a Terence il quale si lasciava trasportare da quelle note. La canzone si intitolava Love me or leave me e diceva più o meno così:

Love me or leave me and let me be lonely, You won't believe me but I love you only, I'd rather be lonely than happy with somebody else, You might find the night time the right time for kissing, Night time is my time for just reminiscing,
Regretting instead of forgetting with somebody else, There'll be no one unless that someone is you… I want your love, don't wanna borrow, Have it today to give back Tomorrow, Your love is my love, There's no love for nobody else…[2]

Ordinò un altro drink, ma preferì andare al bar piuttosto che farselo portare al tavolo, anche per liberarsi della presenza costante di Helen che quella sera sembrava avere tutte le intenzioni di farlo capitolare. Si mise seduto su uno sgabello, questa volta chiese dello scotch e mentre aspettava di essere servito dal barman notò una coppia di ballerini che prima non aveva visto in pista. Avevano qualcosa di familiare, ma la poca luce non lo aiutava a distinguerli.

Quando finalmente riuscì a metterli a fuoco, comprese il motivo per cui quella sensazione di inquietudine che lo aveva assalito fin dalla mattina non lo aveva più abbandonato per tutto il giorno: non si era sbagliato, la donna che passeggiava sul Margarita non somigliava a Candy, era proprio lei. Lei che ora ballava al centro della pista tra le braccia di un altro.

Se saperla sposata con lui era stato per Terence un colpo che aveva incassato con molta fatica, vederli insieme rischiava di metterlo definitivamente al tappeto.

Avrebbe voluto distogliere lo sguardo, avere la forza di ignorarli, ma i suoi occhi sembravano incollati alla schiena nuda di lei dove una mano non sua si posava dolcemente, per non parlare poi della sua tempia che la guancia di lui continuava ad accarezzare. Più li osservava e più il respiro si faceva corto, ma non riusciva a fare a meno di guardarli. 

Quando la musica si interruppe, lui si staccò leggermente fissandola negli occhi con un lieve sorriso sulle labbra. Restarono immobili qualche istante.

Se la bacia muoio, pensò Terence. A salvarlo intervenne Greta che proprio in quel momento si fermò davanti a lui ostruendone la vista. Lui si riscosse come se si fosse appena risvegliato da un incubo, si alzò in piedi ma non li vide più. 

- Ehi che ti prende Graham?

- Niente - rispose voltandosi verso il bancone del bar.

Greta si era accorta che qualcosa o meglio qualcuno aveva cambiato l'umore dell'amico. Si guardò un po’ intorno senza riuscire a trovare un motivo valido alla sua faccia scura.  Si sedette su uno sgabello vicino a lui, accavallando le gambe con un gesto molto sensuale ma che in lei appariva del tutto naturale. Prese un sorso dal bicchiere dell'attore e proprio attraverso il vetro, notò all'altro capo del banco una ragazza che sembrava fissarli.

- Ne hai appena stesa un'altra Graham, come fai?

- Come?

- Non voltarti, ma dietro di te c'è una ragazza che ti sta mangiando con gli occhi!

L'espressione di Terence cambiò di nuovo e a Greta parve preoccupata.

- Non sei felice? Guarda che è molto carina, due occhi da gatta che non lascerebbero scampo nemmeno a un tipo complicato come te credimi!

Non c’era bisogno che Greta sottolineasse quanto fossero belli gli occhi di Candy, del resto lei non poteva sapere quale effetto avessero su Terence fin dalla prima volta che si erano posati su di lui. Erano come una calamita e anche in quel momento sprigionarono tutto il loro magnetismo al punto che lui si voltò come l’ago della bussola verso il nord.

Era da sola in quel momento. Il marito si era allontanato di poco e stava parlando con qualcuno, era di spalle, anche lei ma quando Terence la guardò lei fece lo stesso. I loro occhi rimasero incatenati per qualche istante, attimi in cui tutto scomparve intorno. Lui senza rendersene conto sentì salire un sorriso fino alle labbra senza che potesse impedirlo, lei come un fiore che si apre al sole lasciò libere le sue labbra di fare ciò che la natura comandava.

A Greta che li osservava fu tutto chiaro. Era certa di aver appena assistito ad un miracolo: due persone che si parlavano senza dire niente, due persone che si amavano senza neanche sfiorarsi. Non disse nulla a Terence mentre il marito se la portava via, facendo tornare il buio sul suo viso. Avrebbe voluto gridargli “ma che fai, vai a prenderla!” ma non sapeva tutta la loro storia e per questo si trattenne, anche se era sicura di non aver mai visto uno scambio di sguardi e sorrisi come quello avvenuto tra l’amico e la ragazza dagli occhi di gatto.

 

*******

 

La mattina dopo Terence si svegliò molto tardi e con un gran cerchio alla testa. Nonostante questo appena aprì gli occhi un vortice di domande lo assalì, feroce come un branco di lupi che si avventa su una preda già moribonda.

Che cosa ci fa qui? Perché è in Italia? Perché ad Amalfi? Perché è venuta qui con lui? È venuta a cercarmi di nuovo? Non è possibile… Perché mi ha sorriso? Perché le ho sorriso? Saranno ancora qui o se ne saranno già andati?

Quest’ultima domanda lo fece saltare giù dal letto e andare alla finestra per controllare. Il suo sguardo percorse velocemente la linea dell’orizzonte e tra mare e cielo vide il Margarita risplendere tra le onde. Inconsciamente tirò un sospiro di sollievo e andò a farsi la doccia, poi scese per il pranzo.

 

- Finalmente! – esclamò Greta appena lo vide.

- Buongiorno Greta.

- Pensavo che sarei dovuta andare da sola.

- Andare dove?

- Ecco lo sapevo che ti eri dimenticato: ti ho chiesto due giorni fa se potevi accompagnarmi a Napoli oggi pomeriggio.

- Oddio perdonami…

- Chissà dove hai la testa! – lo rimproverò maliziosamente.

- Siamo ancora in tempo?

- Sì, se ti dai una mossa.

- Ok vado a cambiarmi e sono tutto tuo!

Greta sorrise fingendo di crederci.

L’appuntamento era con un rappresentante della MGM, la società cinematografica di cui Miss Garbo era l’attrice principale. Si trattava di discutere un nuovo progetto che prevedeva la realizzazione di un film di cui Greta sarebbe stata la protagonista femminile. Le riprese, nel caso lei avesse accettato, sarebbero iniziate nella primavera dell’anno successivo. Greta non aveva qui il suo agente per cui aveva chiesto a Terence di accompagnarla, assicurandogli che avrebbero fatto ritorno prima di sera.

 

- Ma lei è Graham, Terence Graham! – esclamò il responsabile della MGM appena lo ebbe riconosciuto.

- Piacere di conoscerla Mr. Peterson.

- Il piacere è mio… mi scusi ma non mi aspettavo di incontrarla altrimenti avrei chiesto di poter proporre a lei la parte del protagonista maschile.

- Non si preoccupi, come saprà non faccio cinema.

- Immagino che avrà già ricevuto molto offerte e se non ha ancora fatto film significa che le ha rifiutate, posso sapere perché?

- Non credo di essere adatto al grande schermo.

- Dì la verità Terence, tu pensi che sia il cinema a non essere adatto a te… diciamo pure alla tua altezza – lo riprese Greta.

Terence sorrise ammettendo così che l’amica aveva pienamente ragione.

- Ci sarà pure un modo per convincerla Mr. Graham, consideri almeno l’idea, in fondo si tratta di un soggetto non da poco e con Miss Garbo formereste una coppia eccellente.

- Lei non sa con chi ha a che fare Mr. Peterson, mi creda è molto difficile se non impossibile fargli cambiare idea!

- Ne parlerò con i miei superiori e sono sicuro che le faranno avere una proposta ufficiale e piuttosto consistente, mi promette almeno che ci penserà?

- Ho una stagione teatrale molto impegnativa che inizierà a settembre, non credo che avrò tempo per altro, mi dispiace.

- Cosa le ho detto? È incorruttibile!

 

Dopo aver parlato per più di un’ora con Mr. Peterson, Greta e Terence tornarono ad Amalfi.

- Sarebbe fantastico lavorare insieme!

- Te l’ho già detto… non faccio cinema, mi sentirei un idiota a recitare senza il pubblico. Il pubblico fa parte dello spettacolo…

Discutevano ancora mentre entravano in casa, era quasi l’ora di cena e nel salotto c’era solo Craig.

- Craig ti prego, convincilo tu il testone del tuo amico mentre io vado a cambiarmi – lo pregò Greta prima di dare un bacio a Terence per ringraziarlo e scomparire nella sua stanza.

- Di cosa ti dovrei convincere?

- Oh lascia stare…

- Ci sei a cena?

- Sì perché?

- Abbiamo ospiti…

- Qualcuno che conosco?

- Non saprei… ti ricordi l’ultimo spettacolo dell’Amleto che abbiamo tenuto a New York?

- Certo.

Terence se lo ricordava bene, Candy era andata a salutarlo in camerino insieme al marito.

- Quella sera ho incontrato uno dei banchieri più importanti d’America, era rimasto sbalordito da ciò che aveva visto e anche dalle scenografie che modestamente avevo curato io. Così colsi l’occasione per chiedergli se fosse interessato a fare qualche investimento o magari a finanziare qualche spettacolo anche a scopo benefico. So che la moglie si occupa di raccogliere fondi a favore dell’infanzia abbandonata… mi rispose che ci avrebbe pensato.

- Bene però non capisco cosa c’entri questo con la cena di stasera – commentò Terence sospettoso.

- Non ci crederai ma il mio uomo è qui in vacanza, l’ho incontrato ieri sera a Villa Rufolo! Non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione, non credi?

- Si può sapere chi è questo benefattore misterioso?

- Nientemeno che William Albert Ardlay, degli Ardlay di Chicago… lo conosci?

- So chi è. C’era anche la moglie quando lo hai invitato a cena?

- Si c’era anche lei… mi sembra che lui non la perda d’occhio un istante, per tutto il tempo che abbiamo parlato l’ha tenuta stretta per la vita come se temesse di perderla da un momento all’altro. Del resto lo capisco, è talmente carina e se non sbaglio decisamente più giovane di lui. Spero mi darai una mano a convincerlo!

- Certo, come no! A dopo.

 

Un’altra domanda si aggiunse all’elenco di Terence: tutto quello che stava accadendo era solo opera del destino o forse qualcuno stava abilmente manovrando la situazione?



[1] Il drink delle celebrità, creato negli anni venti da un barman di San Francisco innamorato della famosa attrice, composto da rum, succo d’ananas, maraschino e granatina.

[2] “Amami o lasciami e lasciami essere solo, non mi crederai ma amo solo te, preferisco essere solo che felice con qualcun altro, potresti trovare la notte il momento giusto per baciare, la notte è il mio momento solo per ricordare, rimpiangere invece di dimenticare con qualcun altro, non ci sarà nessuno a meno che quel qualcuno non sia tu… voglio il tuo amore, non voglio prenderlo in prestito, averlo oggi per restituirlo domani, il tuo amore è il mio amore, non c’è amore per nessun altro”.



Capitolo sette



 

“Si può essere padroni di ciò che si fa, ma mai di ciò che si prova”

(Gustave Flaubert)

 

 

Amalfi, luglio 1929

 

Terence si stava abbottonando la camicia quando Greta entrò nella sua stanza. 

- Beh non si bussa più prima di entrare nella camera di un uomo? - le chiese con un ironico rimprovero,  vedendola riflessa nello specchio. 

- Oh tra noi queste formalità… piuttosto, dimmi che intenzioni hai.

- A proposito di cosa?

- Della cena di stasera e soprattutto riguardo agli ospiti che saranno qui da un momento all'altro.

- Perché me lo chiedi?

- Andiamo Terence,  sei un grandissimo attore ma con me non attacca, soprattutto dopo quello che ho visto ieri sera.

Lui si voltò fingendo di non comprendere di cosa stesse parlando, corrugando la fronte.

- Guarda che l'ho capito, è lei il tuo amore disperato, la ragazza con gli occhi da gatta. Nemmeno nei migliori film o nei più grandi teatri ho mai assistito ad una scena del genere: un uomo ed una donna che facevano l'amore solo con uno sguardo ed un sorriso… se ci penso mi vengono ancora i brividi!

Terence che aveva finito di vestirsi, dopo aver ascoltato Greta senza commentare,  si era infilato la giacca e si era diretto verso la porta.

- Dove vai?

- A bere qualcosa di forte.

- Aspetta.

Greta lo bloccò afferrandogli il braccio.

- Promettimi che non dirai nulla, nessuno deve saperlo d'accordo? – le sussurrò lui quasi pregandola.

- A patto che tu mi prometta che non ci rinuncerai solo perché è sposata e ha un figlio.

- Solo!!! Ti pare poco?

- No certo… lo so che non è poco, ma ciò che avete tu e lei rappresenta molto di più! Da quanto tempo vi conoscete?

- Sedici anni.

- E siete ancora così innamorati! Come potete pensare di continuare a vivere lontani l’uno dall’altra?

Terence guardò l’amica, sapeva che aveva perfettamente ragione. Illudendosi sperava e nello stesso tempo temeva di vedere quella sera una coppia felice, di vedere Candy serena, solo così avrebbe forse trovato la forza necessaria per rinunciare a lei definitivamente.

Per gran parte della cena tutto sembrò procedere per il meglio. Albert, Craig e Terence si intrattennero parlando di teatro e di possibili finanziamenti da parte del banchiere americano. Greta mostrò la villa a Candy che sembrava aver ritrovato la sua vivacità e quella sua naturale capacità di saper interagire con chiunque rimanendo sempre se stessa.

Le due donne si trovavano in terrazza ad ammirare il panorama, con la luna che quella notte illuminava tutta la baia. D’un tratto squillò il telefono e Greta andò a rispondere. Era Mr. Peterson, quello della MGM, cercava Graham. Greta andò a chiamarlo, era nello studio insieme a Mr. Ardlay e Craig.

- Ma che vuole? Mi sembrava di essere stato chiaro con lui…

Terence un po’ scocciato parlò pochi minuti con Peterson ribadendo la sua posizione. Dopo aver chiuso la chiamata ebbe l’impressione di essere sul punto di scoppiare. Aveva decisamente bisogno di una sigaretta e di stare un po’ da solo. Tolse la giacca e uscì in terrazza.

Appoggiato al parapetto, respirò a pieni polmoni la leggera brezza marina impregnata di sale. Anche quell’odore gli ricordava lei, il loro primo incontro sul Mauretania. Si voltò dando le spalle al mare e come quella sera lei era lì. Rimase senza fiato. Era bellissima. Per tutta la durata della cena si era impegnato molto per non guardarla, sapeva che i suoi occhi non si sarebbero più staccati da lei. Ma ora non riusciva a negarsi il piacere di osservarla. Forse si trattava di un’apparizione e allora gli era concesso indugiare su ogni più piccolo particolare: le sue mani delicate che da tempo non lo accarezzavano più, i suoi capelli dove per l’ultima volta sarebbe voluto sprofondare per divorarle il collo, i suoi occhi che desiderava sorridessero ancora per lui e le sue labbra… dolci… tenere ed affamate di lui…

- Sono stata brava? – la voce di Candy, così diversa dal solito, affilata come una lama, fece a pezzi i suoi sogni.

Terence la guardò senza capire.

- Non ho recitato bene la parte della moglie perfetta?

- Che cosa stai dicendo?

- È ciò che mi hai chiesto no? – gli domandò questa volta con rabbia.

Dunque era stata tutta una recita. E secondo lei la colpa era evidentemente di Terence, perché era stato lui ad andarsene quando aveva saputo del bambino. Era stato lui a lasciarla sola pensando che quello che c’era stato tra loro non rappresentasse nulla. Come se per lui fosse stato semplice! Da quando aveva saputo che era sposata con Albert, niente era stato semplice! Terence si sentì ribollire il sangue.

- Non ti ho chiesto io di sposarlo, tu hai scelto di farlo!

- Io volevo solo una famiglia e la volevo con te!... ma tu non c’eri, non c’eri più!

- Lui invece sì, vero? È sempre stato lì accanto a te, perché lui è perfetto, lui è il tuo angelo custode, ti fa sentire al sicuro…

- Che cosa c’è di male nel volersi sentire al sicuro? Sapevo che non avrei più amato come… ma speravo di riuscire a trovare un po’ di pace e lui era l’unico che credevo ci sarebbe riuscito.

Terence espirò forte il fumo della sigaretta, la gettò a terra e la calpestò con forza per spegnerla. Poi le andò vicino, molto vicino, incurante del fatto che qualcuno potesse vederli.

- Perché siete qui?

- Siamo in vacanza – rispose Candy sapendo di mentire.

- Chi ha deciso di venire in Italia, proprio ad Amalfi, sei stata tu vero?

- No, è stato lui!

- Lui? – le chiese sorpreso – Non gli avrai detto di noi?

- No, non gli ho detto niente.

- È possibile che sospetti qualcosa?

- Non saprei… non credo.

- Non può essere una coincidenza… anche la cena di stasera… è tutto troppo strano… lui sa qualcosa.

- Non è quello che volevi? Quante volte mi hai chiesto di parlargli!

- Era ciò che volevo prima di sapere del bambino, perché tu ti sei ben guardata dal dirmelo!

- Forse perché temevo di perderti di nuovo? Anche tu mi hai tenuto nascosto qualcosa se ti ricordi!

- Lo so bene, non c’è bisogno che me lo rinfacci ogni volta!

I toni si stavano alzando, c’era il rischio che qualcuno li sentisse discutere, ma sembrava che non se ne rendessero conto.

- Tutti abbiamo fatto degli errori in questa storia, l’unico che non ha nessuna colpa è vostro figlio. Io spero di riuscire a proteggere almeno lui. Ha il diritto di avere una famiglia, in fondo lo hai detto anche tu, è questo ciò che cercavi, una famiglia, adesso ce l’hai e non sarò io a distruggerla, non posso… non sarei più capace di guardarmi allo specchio. Una volta ho giurato a me stesso che non avrei mai amato come mio padre, lui è stato solo un egoista, ha messo se stesso e il suo onore al di sopra di tutto e ha segnato per sempre la vita di chi gli stava intorno.

- Io lo so quanto hai sofferto, l’ho visto con i miei occhi, ma ho visto anche l’uomo che sei diventato e di cui mi sono innamorata.

Candy era sul punto di crollare, sentiva gli occhi diventare sempre più caldi, le tremavano le mani. Pensò che fosse meglio interrompere quella conversazione e fece per rientrare.

- Candy…

- Lasciami andare…

- Non posso vederti così… ti prego… non lo sopporto!

- Non preoccuparti… fingerò di essere felice, se ti fa piacere!

 

Rientrarono tutti nel salone. Albert e Craig erano riusciti a trovare un accordo su uno spettacolo di beneficenza che si sarebbe tenuto a New York il prossimo autunno.

- Naturalmente Terence sei scritturato, giusto Mr. Ardlay?

- Certamente Craig, non possiamo certo fare a meno di Graham.

- Beh io… non posso assicurarvi la mia presenza. Appena terminata questa vacanza tornerò in Inghilterra, ormai lavoro a Stratford da diversi anni, vengo saltuariamente in America.

- Non vorrai rifiutare un favore ad un vecchio amico?

- No Albert certo… vedrò quel che posso fare.

- Che ne dite di concludere questa bella serata con un po’ di musica? Al perché non ci canti qualcosa?

- Ottima idea Greta… qualcuno ha una richiesta in particolare?

- Io.

- Mrs Ardlay… conosce le mie canzoni?

- Sì certo… e ce n’è una che mi piace molto. È una canzone di qualche anno fa, si chiama April showers, mi piacerebbe ascoltarla.

- Una delle mie preferite, la canto sempre volentieri… Graham mi accompagneresti al piano?

 

Le mani di Terence si muovevano sui tasti, mentre la parole si diffondevano nella stanza. Gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo…

 

Life is not a highway strewn with flowers
Still, it holds a goodly share of bliss
When the sun gives way to April showers
Here's the point you should never miss

Though April showers may come your way
They bring the flowers that bloom in May
So if it's raining, have no regrets
Because it isn't raining rain, you know
It's raining violets

And when you see clouds upon the hills
You soon will see crowds of daffodils
So keep on looking for a bluebird, and listening for his song
Whenever April showers come along…[1]

 

D’un tratto Al fece segno a Candy di andargli vicino e di unirsi a lui nel canto dell’ultima strofa.

 And when you see clouds upon the hills
You soon will see crowds of daffodils

Fu a quel punto che il pianista sbagliò una nota, scusandosi.

 

Prima di salutarsi Albert propose di poter ricambiare l’invito.

- Domani abbiamo programmato un giro lungo costa, ci farebbe piacere se voleste unirvi a noi, vero Candy?

- Certamente.

Al e Craig dovettero declinare l’invito perché già impegnati, Laurence e John erano usciti con le sorelle Costello per cui restavano solo…

- Terence, Miss Garbo… conto su di voi allora!

- Sarà un piacere, giusto Terence?

L’attore riuscì solo a produrre un lieve sorriso di assenso.

- Allora ci vediamo domani, ti spetto – lo salutò Albert stringendogli la mano.



[1] “La vita non è un’autostrada cosparsa di fiori, tuttavia possiede una buona dose di felicità, quando il sole lascia il posto ai rovesci di aprile, ecco il punto da non perdere mai, anche se le piogge di aprile potrebbero arrivare sulla tua strada, portano i fiori che sbocciano a maggio. Quindi, se piove, non avere rimpianti, perché non piove lo sai, piovono viole. E quando vedi le nuvole sulle colline, presto vedrai folle di narcisi, quindi continua a cercare un uccello azzurro e ad ascoltare la sua canzone, ogni volta che arrivano le piogge di aprile”. (Al Jolson, April showers, 1921).


Capitolo otto





“Capì che, non solo lei gli era vicina, ma che ora non sapeva più dove finiva lei e dove cominciava lui”

(Lev Tolstoj)

 

 

- Lo sapevo che sarebbe andata così… che avremmo finito con l’odiarci…

- Vi siete parlati?

- Parlati?! Certo, come no… non abbiamo fatto altro che rinfacciarci i nostro errori! Ma il problema ora è che lui ha capito tutto… ne sono sicuro.

- Lei ha parlato col marito?

- No… ma il fatto che siano qui non può essere una semplice coincidenza e poi quest’invito sulla barca… temo che possa accadere qualcosa… non me lo perdonerei mai!

- Ma scusa Terence, se lui davvero sapesse di voi perché mai sarebbe venuto qui? Insomma, avrebbe dovuto tenerla lontana da te.

- Greta tu non conosci Albert… se sospettasse che Candy mi ama ancora, non resterebbe con lei. Lui conosce la nostra storia fin dall’inizio e anche se l’ama si tirerebbe indietro.

- Allora cos’è che ti preoccupa?

- Il bambino.

- Pensi che potrebbe portarglielo via?

- Non lo so, ma in ogni caso quel bambino non avrebbe più la sua famiglia.

- Da come mi hai descritto Albert sembrerebbe un uomo straordinario… lo credi davvero capace di una cosa del genere?

- Non posso correre questo rischio. Si commettono tanti errori per amore e ancora di più quando il nostro amore viene tradito.

- Che cosa intendi fare allora?

- Confido nel suo amore per Candy, ma se volesse un confronto con me sarò io ad assicurargli che non ci vedremo più.

- E lei, non ci pensi a lei?

- Non ci posso pensare… o impazzisco.

- Perché deve essere condannata a scegliere tra suo figlio e l’uomo che ama? Ti sembra giusto? Questo la ucciderà!

Terence non aveva più risposte alle domande di Greta. In fondo anche lui si sentiva costretto a scegliere tra la donna che amava e la vita di un bambino che non aveva nessuna colpa.

 

Quando salirono a bordo del Margarita, Albert andò subito loro incontro per accoglierli. Greta gli fece i complimenti per la splendida imbarcazione, un vero gioiello uscito dai cantieri navali americani.

- Oh beh è solo in prestito, un caro amico pare non lo usi mai e così…

- Bene tenerseli stretti certi amici! – commentò Greta scherzando.

Terence invece non era in vena di battute. L’attrice gli lanciò un’occhiataccia come a suggerirgli di stare tranquillo e di cercare di rilassarsi un po’. Lui rispose con un sorriso tirato, salutando Albert con una stretta di mano.

- Prego accomodatevi, mia moglie arriverà subito, si sta occupando del bambino.

Terence si sentì stringere la gola e dovette deglutire per non soffocare. Non si aspettava che ci fosse anche il piccolo, chissà perché aveva immaginato che fosse rimasto in America… invece era lì e lo avrebbe visto.

Infatti poco dopo, mentre gli ospiti erano stati fatti accomodare nel salotto di prua, Candy arrivò con il bambino in braccio. Ancora mezzo addormentato e un po’ imbronciato, con i suoi grandi occhi di un blu intenso e i capelli scuri scompigliati dal sonno, dette una rapida occhiata ai nuovi arrivati, concedendo loro  un sorriso furbetto.

- Buongiorno e ben arrivati.

- Buongiorno Candy e questo bel giovanotto come si chiama? – domandò Greta andandole incontro.

- Greta ti presento Liam.

- Piacere di conoscerti, io sono Greta e quel timidone seduto laggiù si chiama Terence.

Candy mise il bambino a terra e lui pian piano si avvicinò al nuovo arrivato con sospettosa curiosità, mantenendosi a una certa distanza di sicurezza. Terence rimase come incantato a guardarlo, senza riuscire a mettere bene a fuoco le emozioni che lo stavano travolgendo trovandosi davanti il figlio di Candy e Albert. – Ciao Liam – gli disse alla fine, appoggiandosi alle ginocchia per avvicinarsi e allungandogli la mano.

Il bambino lo guardò dal basso verso l’alto, poi battendo il cinque, gli sorrise di nuovo.

- Bene, che ne dite di partire ed iniziare la nostra gita? – propose Albert spiegando nei dettagli quale sarebbe stato l’itinerario.

Avrebbero navigato a poca distanza dalla costa per ammirarne le bellezze che da terra non era possibile raggiungere e poi si sarebbero fermati in una caletta per pranzare e fare il bagno.

Gli ospiti vennero condotti alle loro cabine per cambiarsi e mettersi più comodi. Una volta pronti Greta e Terence si incrociarono nel corridoio per tornare a prua.

- Liam è bellissimo! – esclamò Greta.

- Molto – commentò laconico Terence.

- Ha due occhi incredibili e un sorriso davvero speciale… mi ricorda tanto… il tuo.

Terence si voltò fissandola in viso. L’espressione dell’amica era seria, la sua constatazione non era casuale.

- Non puoi non averlo notato anche tu!

- Di cosa stai parlando?

- Liam ti somiglia, quando ha sorriso sono rimasta senza parole.

- Non dire sciocchezze!

- Ascoltami Terence, la prima cosa che ho notato di te quando ci siamo conosciuti è stata il tuo sorriso, anche perché è così raro vederlo che quando accade non si dimentica.

- Ti prego Greta… che cosa stai insinuando?

- Io non sto insinuando proprio niente, ma quel bambino ti somiglia e potrebbe essere tuo.

- Candy me lo avrebbe detto, non credi?

- Chi ti dice che lei lo sappia. Quando è nato?

- Non lo so di preciso, credo in ottobre.

- Quindi ha più o meno due anni… tu e Candy…

- Due anni… - rifletté lui - ci siamo incontrati una sola volta, poi mi ha detto che era sposata e non ci siamo più visti fino a pochi mesi fa.

- I conti tornano e una sola volta è più che sufficiente credimi!

La navigazione procedeva tranquilla. In poco più di un’ora giunsero alla piccola insenatura dove venne sganciata l’ancora e servito il pranzo.

- Vi fermerete ancora per molto qui in Italia? – domandò Greta.

- Almeno fino alla fine del mese, Candy non l’aveva mai visitata e mi piacerebbe farle vedere tutto ciò che di bello ha da offrire questa terra.

- E voi? – domandò Candy che fino a quel momento era stata piuttosto silenziosa.

- Un paio di settimane ancora, ammesso che Terence mi faccia compagnia! – esclamò Greta rivolgendo uno sguardo interrogativo all’attore.

- Mi dispiace deluderti ma tra pochi giorni devo rientrare a Londra.

- Cosa? Non avevi detto che la stagione teatrale non sarebbe iniziata prima dell’autunno?

- Sì ma metteremo in scena uno spettacolo nuovo per cui ho parecchio da studiare, le prove inizieranno a settembre.

- Se tu facessi cinema avresti molto più tempo libero!

- Non ricominciare, ne abbiamo già parlato!

- Ma siccome sei un testone, dovremo discuterne ancora! La prego Mr. Ardlay mi dia una mano a convincere il suo amico.

- Mi chiami Albert per favore, altrimenti mi farà sentire un vecchietto e poi… di cosa lo dovrei convincere?

- Vede Albert, per il prossimo film in cui reciterò non è ancora stato scelto il protagonista maschile e io sono sicura che per Terence sarebbe una grandissima opportunità, ma lui si ostina a rifiutare.

- E perché mai?

- Greta te l’ho già spiegato il motivo, il teatro è un’alchimia tra attori e pubblico, una magia… nel cinema questo manca, non fa per me.

- Potresti provare almeno una volta, saresti perfetto nel ruolo del conte Vronskij!

- Mi sembra di capire che si tratti di un film ispirato ad un romanzo, giusto? – chiese Candy.

- Esattamente, la sceneggiatura si basa su Anna Karenina di Tolstoj, lo ha letto?

- Sì, bellissimo nella sua drammaticità.

- Di che cosa parla? – domandò Albert che non conosceva la storia.

Greta spiegò in poche parole la trama del romanzo: la protagonista, Anna, è sposata ad un ufficiale governativo, Karenin, di cui non è innamorata; durante un viaggio a Mosca conosce il conte Alexsej Vronskij e tra loro nasce un amore profondo. Quando Karenin viene a sapere della relazione extraconiugale della moglie, le dice che non le concederà mai il divorzio e le impone di mantenere almeno in pubblico un comportamento decente che non faccia sospettare nulla, altrimenti sarà costretto a non farle più vedere il figlio.

- Ed è proprio quello che accade. Karenin ad un certo punto dice al figlio che la madre è morta e le proibisce di vederlo! Anna è posta di fronte ad una scelta disumana, tra il figlio e l’amore della sua vita. Le sembra giusto Albert?

- Beh io… - Albert rimase spiazzato da quella domanda così diretta.

- Lo sa come finisce la storia? Che Anna si suicida gettandosi sotto al treno!

Il bicchiere di Terence cadde in quel preciso istante dal tavolo, andando in mille pezzi e lui, per raccoglierli, si ferì ad una mano.

- Terence… - esclamò Greta.

- Non è niente.

- Perdi sangue, è meglio fasciarlo, vieni con me – gli ordinò Candy.

Terence si alzò titubante, dando una rapida occhiata ad Albert che aveva ripreso tranquillamente la sua conversazione con Greta a proposito di cinema.

Si fermarono in una piccola stanza dove Candy aveva il necessario per la medicazione.

- Dammi la mano – gli disse.

Terence le mostrò il palmo, lei pulì il sangue con del cotone, disinfettò il taglio e poi prese una garza per fasciarlo. Fece tutto questo in silenzio, con gli occhi fissi sulla mano. Fu lui a parlare per primo.

- Mi dispiace – le disse con un filo di voce.

- Non preoccuparti, non ho intenzione di gettarmi sotto un treno, conosco bene il valore della vita. Greta sa di noi?

- Sì, ma io non le ho detto niente, l’ha capito da sola quando ci ha visto la prima sera a Villa Rufolo. Lo ha capito dai nostri sguardi e dal modo in cui ti ho sorriso e tu hai sorriso a me.

- È così evidente quindi.

- Non avrei mai voluto metterti in questa situazione.

- Abbiamo fatto tutto in due, non mi hai costretta.

- Ieri sera… non era mia intenzione discutere ma… tu e… lui… vedervi insieme… non è facile, perdonami.

- Neanche per me…

- Vorrei solo che tu fossi felice…

- La tua mano è a posto – disse dopo aver terminato la fasciatura.

- Hai sempre curato tutte le mie ferite – mormorò Terence trattenendole la mano nella sua.

Solo a quel punto lei alzò gli occhi per guardarlo.

- E così tra pochi giorni tornerai a Londra?

- Sì.

- Non ti vedrò più, è questo il modo in cui pensi che io possa essere felice?

- Candy…

La mano di Candy si era mossa sicura mentre medicava il taglio che si era procurato Terence, ma ora tremava nella sua. Lui la strinse e istintivamente se la portò alle labbra, concedendo ai loro cuori di sfiorarsi per una volta ancora, attraverso le loro dita intrecciate.

Un grido improvviso interruppe quell’attimo di estasi.

- Che succede? – chiese Terence allarmato.

- La tata… oh mio dio, Liam!

Si precipitarono fuori, sul ponte di poppa e trovarono la tata in preda al panico che continuava ad urlare.

- Claire dov’è Liam?

- Signora… il bambino… lo tenevo in braccio… poi…

La donna evidentemente sotto shock faticava a parlare e non riusciva a spiegare cosa fosse accaduto. Terence la strinse forte per le spalle, in maniera che lo guardasse in faccia, poi le chiese di nuovo dove fosse il piccolo. Lei ancora non disse nulla ma si voltò verso il mare.

- È caduto in acqua? Mi risponda… è caduto in acqua?

Lei annuì. Terence la lasciò per sporgersi e guardare di sotto, senza riuscire a vederlo.

- Dov’è caduto, mi faccia vedere il punto preciso! – le ordinò mentre si toglieva la camicia.

Claire indicò col dito e lui si tuffò immediatamente. Candy era pietrificata. Nel frattempo Greta ed Albert che si trovavano a prua li avevano raggiunti e avevano capito dalle sue poche parole che Liam era caduto e che Terence si era tuffato per cercare di recuperarlo. Anche Albert guardò giù senza vedere nessuno dei due, fece calare la scaletta e stava per gettarsi in acqua quando udì gridare Candy: Terence era riemerso con il bambino stretto nel suo braccio, ma non era chiaro se stesse bene o meno. Solo quando risalì sulla barca, poterono capire le sue condizioni: era di sicuro spaventato ma incredibilmente era cosciente e non aveva neanche un graffio! Si teneva stretto al collo del suo salvatore e non voleva lasciarlo. Candy sfinita per lo spavento gli si inginocchiò accanto e solo allora Liam iniziò a piangere e si lanciò verso la mamma.

Greta si avvicinò all’amico chiedendogli se fosse tutto a posto.

- Si tutto bene – rispose anch’egli scosso, mentre osservava Albert che stringeva tra le braccia Candy e suo figlio.


Capitolo nove




“Avendo bisogno di amare e di essere amato, credetti di essere innamorato”

(Albert Camus, La caduta)

 

 

Da quando Liam era caduto in acqua e Terence lo aveva salvato, il piccolo non voleva più staccarsi da lui: la sera dell’incidente aveva fatto un sacco di capricci perché fosse lui a portarlo a letto e a farlo addormentare. Candy si era opposta inizialmente, ma quando Terence le aveva detto che non c’era alcun problema, insieme erano rimasti accanto al suo lettino fino a quando non era sprofondato nel sonno.  Per questo Albert gli aveva chiesto di restare ancora un giorno a bordo del Margarita. Così anche la mattina dopo, appena sveglio, Liam aveva chiesto subito di “Teri”.

- Terry è fuori a prendere il sole, quando avrai terminato il tuo latte, potrai andare a trovarlo.

Ma Liam era impaziente e afferrato il biberon era corso alla ricerca del suo nuovo amico, gettandosi su di lui sdraiato sul lettino.

- Ehi… ben alzato! Stai facendo colazione? – gli aveva chiesto sollevandolo per metterlo a sedere sulle sue gambe.

Il piccolo si era appoggiato a lui come se fosse una poltrona e si era messo tranquillamente a bere il suo latte. Dopodiché avevano iniziato a fare un gioco con i pastelli, Terence cercava di insegnargli i nomi dei colori: giallo è il colore del sole, rosso è il vestito della mamma e blu il colore del mare. A Liam doveva piacere molto il blu, lo guardava cercando di capire dove poteva trovarne ancora, fino a quando indicò col dito prima gli occhi di Terence e dopo i suoi.

Terence sorrise stupito – Hai ragione, sono uguali, ma i tuoi sono più belli! – esclamò.

Candy li osservava da lontano, senza riuscire a dare un nome ai propri sentimenti di cui si vergognava.

Sulla scena irruppe d’un tratto Albert – Hai un futuro come baby-sitter lo sai?

- Se dovesse andarmi male col teatro… almeno non morirò di fame – scherzò l’attore.

Terence, Albert e Liam… i suoi tre uomini che amava alla follia erano lì davanti a lei e sentiva che il destino di tutti loro dipendeva dalle sue scelte. Soprattutto la decisone di sposare Albert li aveva condotti al punto in cui si trovavano adesso.

 

Le nozze si erano celebrate il 14 settembre del 1924 a Chicago, nella cappella di Villa Ardlay. Era stata una cerimonia molto intima con pochi invitati: Miss Pony, sister Lane e alcuni dei bambini più grandi ospiti dell’orfanotrofio, Archie ed Annie come testimoni, insieme alla loro piccola Rose. La prozia Elroy era venuta a mancare l’anno prima ed era stato proprio in quell’occasione che Albert mi aveva proposto di restare un po’ con lui a Chicago, in quella grande casa rimasta completamente vuota. Avevo accettato, mi dispiaceva lasciarlo da solo, anche se non ero più una Ardlay perché avevo preferito abbandonare quel cognome e riuscire a trovare da sola la mia strada.

La nostra convivenza di quel periodo non era certo paragonabile a quella trascorsa a casa Magnolia, quando lui aveva perso la memoria, io mi ero da poco diplomata come infermiera e non avevamo un soldo. Adesso Albert aveva preso in mano il patrimonio di famiglia ed era molto impegnato, mentre io avevo ripreso a lavorare al Chicago Hospital. La sera era piacevole ritrovarsi a cena insieme e condividere le nostre giornate, i nostri problemi, le nostre piccole gioie.

Dopo qualche mese, una sera come le altre, mi chiese di Terence. L’anno prima avevo letto sul giornale la notizia della morte di Susanna che mi aveva molto rattristato, ma che mi aveva inevitabilmente fatto pensare alla remota possibilità di poterlo incontrare. Speravo che mi avrebbe cercata, ma non lo fece. Le cronache teatrali riportavano continuamente i suoi successi: Graham non era più una giovane promessa del teatro, ma un attore affermato, il migliore della sua generazione. Dissi ad Albert che non avevo sue notizie e lui non mi chiese altro.

Seguì un periodo di viaggi di lavoro ed ogni volta che tornava a Chicago mi diceva che gli ero mancata molto. Mi resi conto che anche a me mancava la sua presenza: Albert era sempre stato un punto fermo nella mia vita perché anche quando non c’era io sapevo comunque che se mi fossi trovata in difficoltà lui sarebbe apparso come per magia.

Fu di ritorno da un viaggio molto lungo che accadde qualcosa che non mi sarei mai aspettata, o forse si. Era stato a San Paolo per più di un mese. Io non ero rimasta alla villa, ma avevo preferito prendere in affitto un appartamento insieme ad altre due colleghe infermiere. Albert venne a cercarmi lì. Ero da sola in casa e quando lo vidi mi sembrò diverso, anche il suo abbraccio era diverso. Poi tutto d’un fiato mi disse che voleva che tornassi alla villa, con lui, perché senza di me non poteva stare: quando tornava a casa da ogni viaggio desiderava in realtà tornare da me e voleva che questo accadesse sempre e per sempre. Non riuscii subito a capire che cosa intendesse dire con quel “per sempre” poi… poi mi dette un bacio sulla guancia, come faceva spesso salutandomi, ma quella volta le sue labbra indugiarono più del solito sulla mia pelle. Aggiunse infine che non era necessario decidessi subito, ma avrei potuto pensarci. Provai a riflettere per giorni, settimane su ciò che mia aveva detto senza riuscire a fare un passo avanti eppure legarmi a lui per sempre mi sembrava la cosa più naturale del mondo. Ciò che allora non avevo compreso era semplicemente il fatto che l’aver rinunciato a Terence definitivamente mi portava ad avere una visione diversa dell’amore. In quegli anni avevo frequentato dei ragazzi, avevo fatto le mie esperienze, avevo provato a costruire dei rapporti stabili che poi finivano sempre per fallire miseramente perché nel mio cuore il sentimento che avevo provato per Terence era ancora l’unità di misura che definiva ogni mia altra conoscenza. E nessuno reggeva mai il confronto! Era inutile girarci intorno, Terence rappresentava l’amore, l’amore assoluto e totale, quello che probabilmente, se si è abbastanza fortunati, si incontra una sola volta nella vita. Avendo rinunciato a lui, essendo ormai sicura che non sarebbe mai più tornato da me, l’unico uomo con cui avrei potuto costruire una famiglia poteva essere solo Albert. Quando dopo più di un mese di corteggiamento in piena regola, fatto soprattutto di tante piccole attenzioni, mi chiese che cosa avessi deciso, gli risposi che avere la sua amicizia era stato un dono prezioso, sapere di avere anche il suo amore era un onore per me che non ero sicura di meritare.

- Non ho mai incontrato e mai incontrerò un’altra donna come te Candy, sarei io a ricevere il dono più grande se tu accettassi di diventare mia moglie.

Le sue parole provenivano direttamente dal cuore e per questo si portavano dietro una tale dolcezza ed intensità da farmi restare come imbambolata. Gli sorrisi e per lui fu sufficiente: quello era il mio si.

Dopo il matrimonio il lavoro di Albert ci costrinse a trasferirci a New York. Lasciai la mia attività di infermiera e cominciai a seguire le iniziative benefiche della Fondazione Ardlay, era un’occupazione molto stimolante che mi permetteva di conoscere ed aiutare tante persone. I primi mesi andarono bene. Mi sentivo serena e piena di fiducia nel futuro. Poi un giorno uscii a fare una passeggiata, ero da sola perché Albert era in viaggio e sarebbe stato fuori per una settimana. Mi piaceva esplorare la città che ancora non conoscevo del tutto, del resto c’ero stata una volta soltanto. All’improvviso mi tornarono alla mente quei giorni e senza rendermene conto diressi i miei passi verso il Greenvich Village. Non fu difficile ritrovare il suo appartamento. Mi fermai davanti all’ingresso, ritrovai un ragazzo e una ragazza emozionati di rivedersi dopo tanto tempo e tante lettere, la locandina di Romeo e Giulietta, il profumo del tè caldo, gli occhi tristi di Terence, il desiderio di abbracciarlo. Tornai a casa di corsa e piansi per tutta la notte.

Da quel momento tutto cambiò. Quando Albert fece ritorno, non avevo quasi il coraggio di guardarlo in faccia, mi sentivo colpevole come se lo avessi tradito. Lui invece desiderava un figlio e molto probabilmente attribuì la mia malinconia al fatto che non arrivasse. Poi a gennaio incontrai Terence e capimmo entrambi di aver sbagliato tutto!

 

Adesso lui era lì, insieme a suo marito e a loro figlio, stavano giocando, Liam sorrideva felice in mezzo ai due uomini. D’un tratto notò che Albert la stava osservando con gli occhi stretti come quando si cerca di mettere a fuoco qualcosa che continua a sfuggirci, poi le fece cenno di avvicinarsi.

- Potresti prendere Liam? Terence ed io andiamo a fare il bagno.

- Dove?

- Mi piacerebbe arrivare fino a quegli scogli e poi salire fin sopra al promontorio, si deve vedere tutto il golfo da lassù.

- Ma Albert è molto lontano, dovrete anche tornare indietro – obiettò Candy.

- No, ci raggiungerete con la barca in quell’insenatura, possiamo scendere a piedi fino a lì. Che ne dici Terence, pensi di riuscire a starmi dietro?

- Nessun problema, ho proprio bisogno di sgranchirmi un po’ – rispose l’attore.

A Candy non piaceva quell’idea, non era certo una che aveva paura di tutto, si era sempre distinta per il suo coraggio fin da piccola, ma quell’idea non gli piaceva.

- Perché non ci arriviamo direttamente con la barca allora.

- Oh Candy, sta’ tranquilla, facciamo solo una nuotata.

I due uomini si tuffarono seguiti dallo sguardo attento di Liam che avrebbe tanto desiderato andare con loro. Anche Candy li guardava con ansia crescente man mano che si allontanavano, fino a quando non li vide più e ordinò allo skipper di far muovere il Margarita nella direzione in cui le aveva indicato Albert.

In quel momento Greta uscì dalla sua cabina.

- Buongiorno Candy, temo di aver dormito troppo questa mattina! Dove sono gli altri?

- Buongiorno Greta, Albert e Terence hanno deciso di raggiungere a nuoto quel promontorio, con la barca invece li aspetteremo là. Facciamo colazione insieme?

- Volentieri.

La tavola era già stata apparecchiata e mentre il bambino venne affidato alla tata con l’ordine di farlo giocare all’interno, Candy e Greta rimasero all’aperto. Era la prima volta che restavano da sole e l’attrice pensò che fosse l’occasione giusta per conoscere meglio quella ragazza che aveva rapito il cuore del suo amico e sembrava intenzionata a non restituirglielo.

- Terence mi ha raccontato che vi siete conosciuti a scuola.

Candy si irrigidì pensando a cosa lui potesse averle detto, per cui ripose che era vero senza aggiungere altro.

- Albert invece lo conoscevate già entrambi?

- Beh no… io lo conoscevo, Terence lo ha conosciuto a Londra.

Greta notò il nervosismo di Candy ed essendo una donna molto diretta pensò di mettere subito le cose in chiaro.

- Candy… guarda che non sono tua nemica, anzi, se ti sto facendo qualche domanda è proprio perché mi piacerebbe essere tua amica. Forse se ti dicessi che tra me e Terence non c’è niente di che saresti più tranquilla?

- No, che c’entra? Terence è libero di fare ciò che vuole.

- In realtà credo proprio di no, dal momento che è innamorato. Beh sarei bugiarda se negassi di averci provato con lui… c’ho provato eccome, spudoratamente direi, ma niente. Una donna che lui ha definito “unica” tiene in pugno il suo cuore.

- Greta io…

- Non devi dare spiegazioni a me, assolutamente! Mi piacerebbe poterti aiutare, ma non ho questa presunzione perché non so niente della vostra storia, credimi, lui non mi ha raccontato niente. Mi ha solo detto che vi siete conosciuti sedici anni fa e questo mi ha impressionata molto, perché non mi spiego come un amore non vissuto possa resistere per così tanto tempo, con una tale forza.

Ci fu una pausa silenziosa, durante la quale Candy sorseggiava il suo tè riflettendo su ciò che aveva appena detto Greta.

- C’è stato un periodo in cui anch’io non lo credevo possibile.

- Ed è in quel periodo che hai sposato Albert vero?

Candy distolse lo sguardo ma il colpo sferrato aveva fatto centro.

- Scusami, sono stata indiscreta.

Nel frattempo il Margarita era giunto a destinazione e si era fermato, in attesa che Albert e Terence comparissero sulla cima del promontorio.



Capitolo dieci



“L’amore non si degna di spiegarsi, comanda, tormenta”

(Paul Valéry, poeta francese, 1871-1945)

 

 

Dopo aver nuotato fino alla costa, Albert e Terence risalirono lungo un sentiero ricavato tra gli scogli per raggiungere la cima del piccolo promontorio.

- Avevi ragione, è una meraviglia! Ma ho l'impressione che non siamo venuti qui solo per ammirare il panorama. 

Albert sorrise amaramente. 

- Ho sempre amato la natura e sai perché? Perché ha delle regole precise, giuste o sbagliate che siano vengono rispettate. Questo è necessario per mantenere un equilibrio e vivere in armonia. Sarebbe tutto più semplice se anche tra gli uomini accadesse questo, non credi?

- Non sono mai stato bravo con le regole - commentò Terence scuotendo la testa e continuando a fissare l'immensa distesa azzurra.

- Se è per questo nemmeno io. Ho vissuto per molti anni fingendo di essere un altro fino a quando sono stato richiamato a rispettare il mio ruolo.

- Non deve essere stato facile…

- No affatto, ma ci sono riuscito. Ho saputo entrare in un mondo che non era il mio e adattarlo alle mie regole, non mi sono lasciato schiacciare.

- Hai fatto bene, ti ammiro molto per questo.

- Anche tu hai vissuto secondo le tue regole, hai avuto molto coraggio a lasciare i Granchester e a seguire i tuoi sogni.

- Non avrei mai potuto fare il Duca.

- Già… eppure c'è una regola che a volte ci illudiamo di poter ignorare, l'unica che invece non può essere modificata.

Terence lo guardò a quel punto con aria sospettosa, la voce di Albert era cambiata pronunciando quell'ultima frase e lui da attore esperto aveva colto una sfumatura di dolore. 

Anche Albert lo fissò prima di pronunciare queste parole:

- A nessuno è concesso ignorare la regola dell'amore perché prima o poi ne pagherà le conseguenze e potrebbero essere devastanti.

Lo sperone roccioso sul quale si trovavano si allungava verso il mare a strapiombo. Terence guardò giù, gli scogli che affioravano dall’acqua sembravano inermi di fronte alla forza delle onde che li prendevano a schiaffi, eppure restavano fermi, immobili, sfidando la marea a viso aperto.

- Albert…

- Non provarci, non provarci nemmeno Terence! Sei andato a letto con mia moglie, non hai scuse!

L’attore incassò il colpo anche se l’espressione sul volto dell’uomo che aveva davanti non apparteneva all’amico di sempre, ma era quella di un uomo profondamente ferito e deluso.

- Non ho intenzione di scusarmi infatti, ma vorrei poterti raccontare alcune cose… se avrai la bontà di ascoltarmi.

- E cosa vorresti raccontarmi? I dettagli dei vostri incontri? Vuoi solo alleggerirti la coscienza o magari incolpare lei che ha continuato a cercarti anche quando te ne sei andato!

Terence poteva comprendere la rabbia impregnata di sofferenza di Albert e la capiva perché anche lui l’aveva provata quando lei gli aveva rivelato di essere sposata.

Dopo la morte di Susanna, tante volte aveva tentato di scriverle, aveva riempito pagine su pagine che poi puntualmente finivano accartocciate sul pavimento. Dopo mesi era arrivato alla conclusione che non poteva farlo, non aveva alcun diritto di tornare nella sua vita. Probabilmente aveva anche il terrore di essere rifiutato o peggio ancora ignorato, non avrebbe potuto sopportare l’idea che lei lo avesse completamente cancellato. Si era trasferito in Inghilterra, lavorando come un matto, costruendo passo dopo passo una carriera che lo aveva portato ai massimi livelli, acclamato dal pubblico, conteso dai teatri di tutta Europa. Ma non aveva mai potuto smettere di sognare. Raramente se lo concedeva perché quando il sogno svaniva, e ogni volta puntualmente svaniva, ad attenderlo c’era un pozzo senza fine di tristezza e malinconia che non era possibile colmare con niente. Aveva imparato a conviverci e cercava in ogni modo di frenare la sua immaginazione, pensando che il tempo avrebbe pian piano fatto svanire anche quei ricordi a cui il suo cuore si aggrappava per non precipitare. Invece, più gli anni passavano e più lei continuava a brillare nel suo cielo: se la raffigurava come una splendida donna adulta, i suoi immensi occhi verdi, chissà come erano belli adesso, quel sorriso che lo aveva rapito… e poi quel sentire lui, come solo lei sapeva fare, perché quando erano insieme ciò che provava era l’essere totalmente in pace con se stesso e con il mondo, una sensazione questa assolutamente sconosciuta prima di incontrarla, lui che era sempre in guerra con tutto e tutti.

La prima sera in cui si erano rivisti dopo anni, Terence aveva avuto la certezza che i suoi tormenti fossero finiti. Lei era lì davanti a lui, ancora più bella di come mai avrebbe potuto definirla la sua fantasia, e ad ogni domanda che le aveva fatto lei aveva risposto “sì”, come se non aspettasse altro. Solo nei sogni accadono queste cose, avrebbe dovuto capirlo! Invece si era lasciato andare, per la prima volta nella sua vita, ed aveva creduto possibile che anche a lui fosse concessa una tale grazia. Poi il sogno era svanito, come sempre!

Avrebbe voluto dire ad Albert tutte queste cose, non per liberarsi la coscienza come lui credeva, ma per fargli capire che non aveva mai smesso di amarla, questa era la sua unica colpa.

- Se non vuoi parlare, allora cosa siamo venuti a fare qui? Se non ti conoscessi bene potrei pensare che vuoi vomitarmi addosso tutta la tua rabbia insultandomi, dicendomi che mi consideravi un amico e che da un amico non ci si aspetta che provi a portarci via la propria donna, per questo ora vorresti come minimo prendermi a pugni, o magari buttarmi di sotto. Fallo! Se pensi che ti farà sentire meglio, se pensi che questo risolverà le cose, avanti! Ma sappi che io l’amerò sempre, tu puoi fare qualsiasi cosa, ma io l’amerò sempre.

- Dove sei stato tutto questo tempo? Dov’era tutto questo amore che affermi di provare? Dove!!!!

- Non puoi chiedermi questo… tu hai visto tutto, dall’inizio alla fine, tu sai tutto!

- Infatti… e io vi ho sostenuto in ogni modo, tu hai avuto la tua occasione ma l’hai sprecata! E non puoi rifarti vivo dopo dieci anni, dieci anni… e pensare che lei sia sempre tua!!! Candy è andata avanti con la sua vita, ha faticato molto questo non lo nego. Quando vi siete separati era distrutta, perché il tuo “grande amore” l’aveva fatta a pezzi!

- È proprio per questo che non l’ho più cercata, sapevo bene cosa le avevo fatto. Ma anch’io ne ho pagato le conseguenze, non dimenticartelo.

- Ma ne siete usciti… Candy ce l’ha fatta anche grazie a me. Aveva davanti un futuro sereno, quella famiglia che ha sempre desiderato… finché non sei tornato tu a distruggere tutto!

- Non era mia intenzione tornare da lei, tantomeno distruggere la vostra famiglia… ma quando ci siamo incontrati per caso a New York, abbiamo capito entrambi che non era cambiato niente tra noi… mi dispiace.

- Vorresti farmi credere che non sapevi che si era sposata?!

- No, non lo sapevo… anche se quella sera ammetto di aver volutamente ignorato l’anello che portava al dito. Non le ho chiesto spiegazioni, lei non me ne ha date.

- Se il vostro grande amore è ancora così grande come dici, perché non siete insieme allora?

- Ascoltami Albert… credi che sia stato facile per me sapere che eri tu suo marito, credi che per lei sia facile venire a dirti che è ancora innamorata di me!

- Non è vero! Candy è tranquilla adesso, anche se tu sei qui lei non…

- È per questo che l’hai portata qui? È stata tua l’idea di venire in Italia, sapevi che ero ad Amalfi e volevi metterla alla prova… non ci posso credere!

- Invece tu hai pensato bene di fuggire, come fai sempre davanti alle difficoltà…

- Vuoi sapere perché me ne sono andato? L’ho fatto unicamente per il bambino, per Liam… altrimenti non te l’avrei lasciata, puoi starne certo… avrei fatto di tutto per riprendermela!

- Cosa c’entra Liam?

- Non sarò io a distruggere la sua famiglia, questo è ciò che ho detto anche a Candy prima di partire ed è il motivo per cui tu ora la vedi tranquilla, non per altro. Lei mi conosce bene, sa che non sopporterei di privare Liam dei genitori… so cosa significa non avere l’affetto di una madre e di un padre, so quanto sia difficile.

- Sei così presuntuoso da farmi credere che è solo per il bambino che Candy sta con me?

- Io non voglio farti credere niente! Ti sto solo dicendo perché me ne sono andato e perché Candy ha accettato la mia decisione, ciò che prova per te lo sa solo lei ed è a lei che dovresti avere il coraggio di chiederlo!

- Non ne ho bisogno! Candy è mia moglie, ha giurato davanti a Dio di amarmi per il resto dei suoi giorni.

- Bene! Allora che cosa vuoi da me? Che cosa vuoi che io faccia, si può sapere?

- Niente. Hai detto di aver già preso una decisione, mi aspetto solo che tu la mantenga e che lasci in pace mia moglie.

Il sole a picco di mezzogiorno ferì gli occhi di Terence che guardò in alto, verso il cielo. Rimase in silenzio per alcuni istanti poi, tornò a guardare Albert e annuì, senza dire una parola. Restarono ancora un po’ in silenzio, senza guardarsi. Albert ripensava a ciò che si erano detti e, pur riconoscendo che probabilmente aveva esagerato accusandolo di fuggire davanti ai problemi, non riusciva a perdonargli il fatto di essere ancora così sicuro dell’amore di Candy. Lei era sua moglie adesso, aveva scelto lui, e avevano un figlio… già… un figlio. Terence si era tirato indietro solo per questo, solo davanti ad un bambino aveva deciso che era ormai troppo tardi e che non era più possibile tornare indietro.

- Adesso è meglio rientrare o le ragazze inizieranno a preoccuparsi – mormorò l’attore cominciando a ridiscendere il costone roccioso che declinava dolcemente fino all’insenatura dove era attraccato il Margarita. Albert lo seguì, restando qualche metro indietro. Lo osservava camminare con passo deciso come se avesse fretta di arrivare. Poco prima di salire sulla barca, lo vide alzare le spalle e fare un gran sospiro. Avvertì come un pugno nello stomaco, improvvisamente si rese conto che quel ragazzo stava di nuovo sacrificando il suo amore per il bene di qualcun altro. Cercò subito un appiglio, un motivo valido che supportasse ciò che avevano stabilito. In quel momento, accecato dalla rabbia, non riusciva ad essere onesto: volle credere davvero che Candy non avesse dimenticato le promesse che si erano scambiati in chiesa, volle credere davvero di avere il primo posto nel suo cuore e che la parentesi con Terence fosse stata solo causata dalla passione di un momento che non era stata esaudita in passato e che solo ora aveva trovato la propria soddisfazione. Ma era appunto solo una passione, legata ad un piacere effimero che, una volta consumato, si era esaurito. E poi Terence non era certo il tipo da matrimonio, la sua vita era fatta di spettacoli, ricevimenti, viaggi, attrici, ballerine… avrebbe mai potuto rinunciarvi per una moglie ed un figlio?!

Appena salito a bordo Albert dette ordine di rientrare ad Amalfi.

- È ancora presto, perché vuoi già tornare indietro? – protestò Candy.

Il marito non seppe cosa rispondere, fu Terence ad intervenire.

- Mi dispiace molto, ma ho un impegno questa sera e preferirei tornare a terra qualche ora prima – detto questo andò in cabina a cambiarsi e a preparare il suo bagaglio. Greta lo seguì, ma lui le fece capire che non era il momento. Candy se ne accorse e si voltò a cercare Albert che si era disteso ad asciugarsi dopo essersi ripulito dal sale con dell’acqua dolce.

Il Margarita rientrò nel piccolo porto poco prima del tramonto. Terence accusando un leggero malessere non si era più fatto vedere. La barca per tutto il tempo del viaggio di ritorno era piombata nel silenzio, interrotto ogni tanto solo dalle grida gioiose di Liam. Al momento dei saluti invece il piccolo si era addormentato.

- Vi ringrazio molto per l’ospitalità, è stato un piacere fare la vostra conoscenza e spero che ci sarà la possibilità di rivederci, magari a New York, che ne dici Candy?

- Volentieri Greta, lo spero anch’io.

- Buon rientro a Londra, Terence.

- Grazie.

- Siamo noi a dover ringraziare te, per Liam – intervenne Candy.

Terence la guardò senza capire bene cosa intendesse.

- Per averlo salvato…

- Oh certo… penso che chiunque al mio posto lo avrebbe fatto. Addio.

Dopo i saluti, i due ospiti scesero a terra e salirono sull’auto che li attendeva. Candy sobbalzò quando lui chiuse lo sportello e non lo vide più.

- Il sole è ancora caldo nonostante l’ora, potremo fare un bagno romantico al tramonto, che ne dici? – le propose Albert abbracciandola da dietro.

- Io invece sento freddo, scusami.

Candy andò in cabina dove dormiva il piccolo Liam, si mise nel letto vicino a lui, si addormentò respirando il suo dolce profumo di latte e mare, davanti agli occhi l’immagine di Terence che riemergeva dall’acqua con il bambino in braccio.

 

Capitolo undici




“Non siamo mai così indifesi verso la sofferenza, come nel momento in cui amiamo”

(Sigmund Freud)

 

 

 

- Terence…

- È finita, questa volta è finita per sempre, non potrò più neanche permettermi di sognarla.

Tornati alla villa, l’attore si rifugiò nella propria stanza deciso a fare ritorno a Londra il prima possibile. Si mise immediatamente a preparare i bagagli.

Mentre gettava a casaccio i suoi vestiti in valigia, ripensava a tutto quello che era accaduto nelle ultime ore, gli sembrava di rivedere ogni cosa come in un film, in una sequenza di immagini crudeli che con una coltellata dietro l’altra stavano facendo a brandelli il suo cuore: Candy che gli fasciava la mano, lui che stringeva la sua, lei che gli diceva “te ne vai… è questo il modo in cui pensi che io possa essere felice?”… le parole di Albert, la sua rabbia per essere stato tradito sia dalla moglie che dal suo migliore amico… gli occhi blu di Liam che somigliavano molto ai suoi.

Interruppe d’un tratto il suo fare avanti e indietro dall’armadio alla valigia, restò fermo in mezzo alla stanza con una camicia in mano, la lasciò scivolare a terra, poi gridò forte e si gettò sul letto. Avrebbe voluto dormire, annullare tutti i pensieri e i sogni, addormentarsi e non svegliarsi più. Si riscosse solamente quando sentì bussare alla porta. Era Greta, senza muoversi le rispose che poteva entrare.

L’attrice non disse nulla, raccolse alcuni indumenti dal pavimento e li ripose nella valigia in maniera ordinata, sistemando anche gli altri maltrattati dall’amico.

- Lascia stare – le disse Terence con fatica.

- Non vorrai tornare a Londra con i vestiti tutti sgualciti… come il tuo cuore, salviamo almeno le apparenze, conte Vronskij! Riesco ancora a farti sorridere vedo. Quando parti?

- Domani ti libererai di me.

- Oh bene! Finalmente potrò rilassarmi… fino ad oggi è stata una vacanza decisamente movimentata! Credo di essere più stanca di quando sono arrivata!

- Mi dispiace, scusami…

- A me dispiace che te ne vai invece – gli disse dolcemente sedendosi sul letto, vicino a lui.

- Le vacanze devono finire prima o poi.

- Sei sicuro che sia la scelta giusta?

- Non ne ho un’altra… ormai lui sa tutto…

- E non l’ha presa bene vero?

- Ha tutte le ragioni, vuole solo che stia lontano da sua moglie, una richiesta più che lecita direi.

- Certo, se non fosse che lei ama te. A ciò che vuole Candy ci avete pensato oppure avete deciso anche per lei?

- Ti prego Greta… è già difficile così.

- Lei non ha voce in capitolo vero? Tu non vuoi distruggere una famiglia, ma non ci pensi un attimo a distruggere la sua vita!

- Adesso basta!!! Credi che non ci abbia pensato? Non faccio altro… da mesi ormai, cercando di trovare la soluzione più giusta…

- È proprio qui che sbagli, accidenti!!! Fare la cosa giusta, come dici tu, non renderà felice nessuno.

Terence non aveva più la forza di continuare a discutere, Greta se ne accorse e decise di lasciarlo in pace. Le ultime parole dell’amica tuttavia avevano acceso in lui una strana sensazione, una voce sottile che proveniva dalle profondità della sua mente e che tentava di ricordargli che già una volta, in passato, aveva scelto di fare la cosa giusta e le conseguenze erano state disastrose, ancora ne portava i segni e non solo lui. Ma ora la situazione era diversa, c’era un bambino.

 

La mattina dopo prese un taxi per recarsi in stazione dove lo attendeva un treno per Parigi.

Un paio d’ore più tardi, mentre Greta si trovava in veranda insieme ad Al e alla moglie, il campanello della villa iniziò a suonare con insistenza. Un domestico andò ad aprire e venne travolto dalla furia di un uomo che sbraitando, non si capiva bene che cosa, pareva cercare Terence.

- Che diamine sta succedendo!

- Mi perdoni il disturbo Miss Garbo, ma c’è un signore che chiede di Mr. Graham… io gli ho detto che è partito, ma non vuole sentire ragioni.

- Di chi si tratta Alfred?

- Ha detto di chiamarsi Ardlay, William Albert Ardlay.

- Oh mio Dio! – esclamò Greta temendo fosse successo qualcosa.

Si diresse di corsa all’ingresso e vide Albert sconvolto.

- Albert!

- Candy è qui vero?

- Candy? No, perché dovrebbe essere qui?

- La prego Greta, mi dica la verità.

- Albert le assicuro che Candy non è qui, si calmi per favore.

Si sedettero.

- Candy è scomparsa…

Greta lo guardò impietrita in attesa che lui continuasse.

- Sono sceso a terra per fare delle compere, lei ha preferito restare in barca col bambino… quando sono tornato non c’era. Liam era con la tata che mi ha detto che la signora era andata a riposare. L’ho cercata ovunque ma a bordo non c’è.

- Magari è andata a fare due passi, cosa le fa pensare che sia scomparsa?

Albert abbassò il viso.

- Mi perdoni se glielo chiedo ma… avete discusso per caso?

- No, nessuna discussione… però…

- ….

- Candy ha trovato dei documenti…

- Quali documenti?

- Si tratta di alcune analisi mediche che ho fatto prima che mi dicesse di aspettare un bambino. Era diverso tempo che desideravamo avere un figlio, ma non arrivava e così…

- Che cosa c’è scritto in quelle analisi?

- C’è scritto che… non potrò mai avere figli.

- Capita a volte che i medici sbaglino diagnosi.

- È quello che ho pensato anch’io all’inizio: quando Liam è nato era un bellissimo bambino biondo ed io davvero mi sono illuso che… fosse mio figlio. Ma più cresceva e più mi rendevo conto che…non poteva essere… eppure ho continuato a mentire a me stesso e soprattutto a Candy e ora lei ha capito tutto…

- Pensa che Liam sia figlio di… un altro uomo?

- Sì… e lo sa anche lei, vero Greta? Dov’è Terence?

- È partito questa mattina.

- Io credevo che Candy fosse qui, che fosse venuta da lui…

- Candy non si è vista ma… dobbiamo avvisare Terence in qualche modo. È d’accordo con me?

Albert annuì. Greta prese il telefono, pensando di chiamare tutte le stazioni in cui il treno si sarebbe fermato. Per fortuna riuscì ad intercettarlo non molto lontano, a Napoli, grazie ad una coincidenza che era in ritardo di mezzora.

 

- Pronto, Greta… ho dimenticato qualcosa per caso?

- Ciao Terence, no… non hai dimenticato niente ma… è necessario che tu torni indietro il prima possibile.

- Cosa? Ma che stai dicendo?

- Ti prego… non posso spiegarti al telefono, ma devi tornare assolutamente ad Amalfi!

La voce preoccupata della ragazza colpì Terence, ma gli sembrava comunque una richiesta assurda la sua.

- Greta cosa c’è?

Lei pronunciò una sola parola ma fu sufficiente.

- Candy…

- Sta bene?

- Non lo so… non si trova…

- Arrivo!

 

Il tragitto da Napoli ad Amalfi sembrò non finire mai. Con la paura che Terence sentiva opprimergli l’anima, sarebbe stato capace di scendere e mettersi a correre, forse ci avrebbe impiegato meno tempo. Per questo, quando fece il suo ingresso in villa, sembrava una furia.

- Terence calmati.

- Che significa che non si trova? Chi te lo ha detto?

- Albert è stato qui a cercarla, pensava fosse venuta da te.

- Albert? E lui dov’è ora?

- In giro credo.

Greta non era sicura che fosse un bene in quel momento spiegare all’amico cos’era accaduto, il fatto che Candy avesse trovato quei documenti, e anche se moriva dalla voglia di dirgli che Liam era suo figlio, sapeva che non spettava a lei farlo.

- Terence devi trovarla, devi trovarla tu, hai capito?

- Perché dici così?

- Sono sicura che lei ti stia aspettando da qualche parte… ha bisogno di te… ha bisogno di parlarti, ma tu le hai detto che te ne andavi e lei adesso non sa come fare… ti prego trovala! Pensa a dove potrebbe essere, sono sicura che solo tu lo sai!

Terence si mise a riflettere… non aveva la minima idea di dove potesse essere… forse l’unico posto…

- Craig potresti prestarmi la tua moto?

L’amico gli lanciò le chiavi e lui corse via mentre Greta gli gridava di essere prudente.

 

A quell’ora c’erano molte persone in giro, stavano rientrando dalla spiaggia per il pranzo. Terence dovette farsi largo tra la gente per riuscire a raggiungere la strada che conduceva a Ravello. Pensando infatti a dove potesse essersi rifugiata Candy, gli era venuto in mente il posto in cui si erano rivisti: a Villa Rufolo si erano scambiati per qualche istante sguardi e sorrisi che avevano cancellato tutto il mondo intorno. Sperava tanto di trovarla lì. Mentre percorreva la salita verso la villa non riusciva a pensare a cosa le avrebbe detto, temeva fosse accaduto qualcosa tra lei ed Albert, perché era andato da lui? Forse avevano discusso? Forse lei voleva lasciarlo? E lui allora che cosa avrebbe fatto?

Adesso però l’unica cosa davvero importante era trovarla.

Giunse ai piedi della torre che sormontava l’ingresso, ma il grande cancello era chiuso in quel momento, non era orario di visite.

- Dovrò rispolverare i vecchi metodi – pensò scavalcando, dopo essersi guardato intorno per assicurarsi che nessuno lo vedesse.

Poi si diresse verso il giardino. Tutto era immerso nel silenzio, si udivano solo cantare le cicale che si zittivano improvvisamente al suo passaggio.


Capitolo dodici



Colui che non ha imparato a dire “lei e nessun’altra”, sa forse che cos’è l’amore?

(Vincent Van Gogh, Lettere a Theo)

 

 

Terence si incamminò verso il giardino che era distribuito su due livelli, al primo non trovò nessuno. Si guardava intorno temendo di imbattersi in un custode che di sicuro lo avrebbe cacciato fuori. Salì al secondo livello, percorrendolo in lungo e in largo senza fortuna. Iniziava a temere di aver sbagliato, non l’avrebbe trovata lì, chissà dov’era allora. Sentì per un attimo la paura afferragli la schiena, non voleva lasciarsi andare alla disperazione ma lo sfiorò il pensiero che potesse esserle accaduto qualcosa e lui non era con lei. Aveva ragione Albert, anche questa volta l’aveva lasciata sola. D’un tratto gli venne spontaneo un grido.

- Candyyyy…

Niente, nessuna risposta. La chiamò di nuovo e l’eco gli restituì solo il suo nome. Si sedette su una panchina cercando di riflettere, per non farsi prendere dal panico.

- Dove sei amore mio? Dove sei? – mormorò con la testa fra le mani.

- Terry.

Una voce sottile alle sue spalle lo fece voltare di scatto e la vide. Era seduta nell’erba a pochi metri da lui, le andò incontro.

- Candy… finalmente! – esclamò inginocchiandosi accanto a lei – Che cosa ci fai qui da sola?

- Tu che cosa ci fai? Non dovresti essere in viaggio per Londra?

- Beh… mi sono preso qualche altro giorno di vacanza…

Terence osservò l’espressione assorta di Candy, come se fosse da un’altra parte e non lì con lui.

- Stai bene?

- Come se t’importasse.

- Certo che m’importa. Eravamo in pensiero per te, sei sparita senza dire niente a nessuno… Albert…

- Albert! – lo interruppe gridando.

- Sì Albert… ti sta cercando, era molto preoccupato.

- Adesso si preoccupa… adesso è troppo tardi.

- Candy ma che cosa stai dicendo? Ti accompagno a casa, andiamo, ti prego – le disse dolcemente prendendole la mano.

- Lasciami stare… e tornatene pure a Londra!

- Non me ne vado se non vieni con me.

- Invece te ne andrai… perché mi odi.

- Cosa ti salta in mente! Non potrei mai odiarti, mai e lo sai bene.

- Invece anche tu mi odierai come Albert.

- Albert ti ama. Sa come stanno le cose e nonostante questo ti ama ancora, avete costruito una famiglia e questo è ciò che più conta…

- Albert mi ha amato forse, un giorno… ma ora, dopo quello che gli ho fatto. Nessuno di voi due potrà mai perdonarmi.

- Candy tutti abbiamo sbagliato… ma dobbiamo guardare avanti, per vostro figlio soprattutto.

- Già… Liam. Chissà cosa penserebbe di tutta questa storia se solo sapesse.

- Liam è un bambino fortunato, crescerà sereno con accanto i suoi genitori che lo ameranno sopra ogni cosa. Adesso andiamo però, anche lui ti starà cercando.

Terence si alzò in piedi invitando Candy a seguirlo.

- Aspetta… possiamo restare ancora qualche minuto? – gli chiese lei stringendo la sua mano, poi tornò a sdraiarsi nell’erba e Terence fece lo stesso.

Rimasero in silenzio per un po’, i loro volti accarezzati da una leggera brezza marina.

- Sai che questa villa è stata restaurata da un nobile scozzese, alla fine del secolo scorso?

- Lord Francis Nevil Reid, originario di Tain, nell’Highland.

- Sarà per questo che mi piace molto… perché mi ricorda la Scozia.

Terence notò che Candy sembrava essersi calmata, la sua voce si era fatta più dolce. Pensò che avesse bisogno di parlare e rimase immobile vicino a lei ad ascoltarla.

- Ti ricordi la nostra estate in Scozia?

- Certo.

- Eravamo due ragazzini un po’ imbranati.

- Parla per te – scherzò lui.

- Beh si, forse hai ragione, io di più. Ma anche tu non te la cavavi benissimo… quanto ci mettesti per baciarmi di nuovo?

- La prima esperienza non era stata un granché se non sbaglio, non volevo rischiare un altro paio di schiaffi. Però alla fine ho trovato il modo.

- Confesso che le lezioni di pianoforte sono state un’ottima scusa per stare da solo con me.

- Lo sapevi che erano una scusa vero?

- Sì, lo sapevo.

Terence e Candy avrebbero desiderato continuare a ricordare quel periodo in cui il loro amore era sbocciato, in cui tutto sembrava possibile, ma quei giorni sembravano ora così lontani.

- Dove sono finiti quei due ragazzini, Terry? Perché non sono qui adesso?

Lui non osò rispondere. Avrebbe voluto dirle che erano lì, sdraiati nell’erba come allora, che non erano cambiati, ma non poteva farlo. Gli tornarono in mente le parole di Albert: “avete avuto la vostra occasione”… ormai era troppo tardi.

Candy si voltò verso di lui in attesa di una risposta, ma Terence abbassò gli occhi.

- Guardami – lo pregò accarezzandogli la guancia – Quando hai lasciato l’Inghilterra l’unica cosa che mi ha fatto andare avanti è stato credere che un giorno ti avrei rivisto e non ci saremmo più separati. Persino dopo Susanna, ho continuato a pensare che qualcosa ci unisse comunque e anche se non potevo averti, avrei continuato ad amarti fino alla fine dei miei giorni. Ho sempre creduto che tra noi ci fosse un legame indissolubile, nonostante tutto. Ma quando qualche giorno fa hai detto che le tue vacanze erano finite e che saresti ripartito per Londra ho pensato che fosse davvero la fine… a cosa mi sarei potuta aggrappare questa volta per continuare a saperti un po’ mio anche se lontano?

- Candy…

- No lasciami finire… in realtà qualcosa c’è che mi legherà a te per sempre, ma io l’ho capito solo oggi, devi credermi Terry, non lo sapevo prima di questa mattina.

Candy iniziò a piangere.

- Ehi… che succede? Perché queste lacrime?

- Non mi perdonerai mai… ma ti giuro che non lo sapevo.

- Non hai niente da farti perdonare da me – le disse asciugandole le lacrime con la punta delle dita.

- Si invece.

- Non dirmi nulla, non voglio saperlo… qualunque cosa sia non cambierà ciò che penso di te e neanche… ciò che provo per te.

Le si avvicinò e le sfiorò la fronte con le labbra.

- Devi saperlo – mormorò Candy.

- Se proprio insisti, ti ascolto. Di cosa si tratta?

- Riguarda Liam.

- Gli è successo qualcosa? – chiese subito allarmato.

- No, sta benissimo, però…

- Candy cosa c’è?

- Il giorno in cui è caduto in acqua e tu lo hai salvato… quando stavi risalendo la scaletta per tornare a bordo con lui in braccio, c’è stato un momento in cui entrambi vi siete voltati verso di me ed io… i vostri occhi, la stessa espressione, lo stesso modo di guardare… io credo di aver capito tutto ma non potevo crederci.

Candy fece una pausa, sembrava non riuscire ad andare avanti. Era evidente che qualcosa le appesantiva il cuore, ma Terence non riusciva a capire. Poi improvvisamente si ricordò di quello che gli aveva detto Greta quando aveva visto il bambino. Non è possibile, pensò, trattenendo il respiro.

Erano seduti l’uno di fronte all’altra, sull’erba, come quando erano ancora due ragazzini che giocavano a punzecchiarsi solo perché non avevano il coraggio di confessare di amarsi.

- Che cosa hai capito? – trovò alla fine il coraggio di chiederle.

- Liam… è figlio tuo – riuscì a rispondere Candy, tremando.

Terence restò impietrito, le labbra socchiuse come se fosse sul punto di parlare, ma nessun suono sembrava voler uscire dalla sua bocca. Scosse leggermente la testa, continuando a pensare che non era possibile. Candy cercò di spiegargli che oltre alla somiglianza evidente tra lui e il bambino, c’era un’altra cosa che l’aveva portata a quella conclusione e di cui era venuta a conoscenza solo il giorno stesso. Sapeva che per Terence sarebbe stato un colpo durissimo, ma la diagnosi di sterilità di Albert era la prova definitiva che Liam non poteva essere suo figlio.

- Come sarebbe… sterile?

- Ho trovato delle analisi che lui deve aver fatto poco prima che sapessi di essere incinta, parlano chiaro, non lasciano alcun dubbio sul fatto che Albert non possa avere figli.

Terence non riusciva a coordinare i pensieri. La parola figlio continuava a risuonare nella sua testa come fosse un tamburo, ad ogni colpo sentiva pulsare le tempie e il cuore saltargli nel petto. Si portò una mano sugli occhi e gli apparve nel buio l’immagine di Liam in acqua, quando lo aveva afferrato per riportarlo su, la mattina dopo quando gli era corso incontro con il suo latte in mano e poi il suo piccolo dito che indicava i suoi occhi blu.

- Liam… è mio figlio – mormorò incredulo, poi, scoprendosi gli occhi e guardando Candy – Nostro figlio – le disse, prima di stringerla a sé più forte che poteva.

Restarono così abbracciati per tanto tempo, entrambi con le lacrime agli occhi, senza dire una parola. Avevano bisogno di stare vicini, di respirarsi, di sentire che ancora si appartenevano e che niente e nessuno aveva mai potuto dividerli davvero. Candy temeva che si sarebbe arrabbiato rendendosi conto di aver perso i primi anni di vita di suo figlio, ma colui che in quel momento la teneva stretta era un uomo innamorato follemente che, dopo aver creduto di aver fallito e di aver sprecato tutto, all’improvviso ritrovava il senso della propria vita.

- Non riesco a crederci… - riuscì a mormorare Terence tra le lacrime.

- Mi dispiace, avrei dovuto capirlo…

- È per questo che sei sparita?

- Ho deluso tutti… Albert, te e persino Liam… non sono riuscita a proteggerlo…

- Candy ascoltami… tutto quello che è successo non è altro che la conseguenza di un errore che abbiamo commesso tanti anni fa. Adesso capisco che cosa intendeva Albert quando mi ha detto che non si possono ignorare le regole dell’amore: noi lo abbiamo tradito il nostro amore ma lui ha continuato a cercarci e adesso ci ha ritrovato, non possiamo ignorarlo ancora.

Dobbiamo avere il coraggio di raccogliere i pezzi e ricostruirlo. Sono stato un idiota a credere di poter dimenticare, non riuscivo a vedere ciò che avevo chiaramente davanti agli occhi eppure Liam a modo suo me lo aveva detto, lui lo aveva capito. Solo per lui avrei rinunciato a te, ma ora intendo riprendermi tutto ciò che è sempre stato mio! Andiamo.

- Aspetta…

Candy gli prese la mano e lo guardò in un modo, come se si fosse resa conto in quel momento di poter ricominciare a vivere… con lui, solo con lui!

- Dio quanto ti amo – le disse Terence quasi incredulo di aver ricevuto un tale dono.

- Posso dirtelo anch’io adesso?

- Devi… fino alla fine dei miei giorni non voglio sentire altro che queste parole.

- Ti amo e non ho mai amato nessun altro.

Si baciarono a lungo distesi nell’erba. I due ragazzini di quell’estate scozzese erano tornati, adesso erano lì e non si sarebbero più lasciati.


Capitolo tredici




“Si ha sempre fretta di essere felici, perché quando si è sofferto a lungo, si stenta a credere alla felicità”

(Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo)

 

 

Amalfi, luglio 1929

 

Una volta usciti da Villa Rufolo, Candy gli chiese di accompagnarla al porto dove era ormeggiato il Margarita. Terence però non voleva, non voleva riportarla da lui.

- Terry… devo parlargli.

- Vengo con te. 

- No…preferisco affrontarlo da sola, ti prego.

- Non ti lascio da sola con lui!

Candy acconsentì a farlo andare con lei a patto che mantenesse la calma. Le promise che lo avrebbe fatto, ma non era del tutto sicuro di poter rispettare quella promessa.

Lungo la strada si fermarono per telefonare a Greta.

- Terence, dove sei?

- Sto tornando da Ravello.

- L'hai trovata?

- Sì… 

- Come sta?

- Bene… dovresti farmi un favore però, se riesci a trovare Albert dovresti fargli sapere che Candy è con me e che… stiamo andando al porto, al Margarita.

- Ok ma… tu come stai?

- Bene… credo.

- Sii prudente.

- Certo… a più tardi.

Arrivati al porto, Candy gli chiese di nuovo che intenzioni avesse.

- Voglio parlare con Albert, dovrà spiegarmi un po’ di cose! Ad esempio da quanto tempo sa che Liam è mio figlio!

- Aspetta, ti prego Terence… non riversare su di lui tutta la colpa, hai appena detto che anche noi abbiamo sbagliato…

- So benissimo quali sono stati i miei errori, ma so anche che ne ho pagato tutte le conseguenze. Quando Albert ed io abbiamo parlato, gli ho detto chiaramente che l’unico motivo per cui rinunciavo a te era vostro figlio, lui già sapeva la verità invece e ha taciuto! Se tu non avessi trovato quei documenti, avrebbe continuato a mentire, io sarei partito e non avrei mai saputo di avere un figlio!

- Ti prego Terence, lascia che parli prima io con lui… se ha portato con sé quei documenti probabilmente aveva intenzione di parlarmene. Albert è sempre stato la persona più corretta che io abbia mai conosciuto, deve esserci una spiegazione a ciò che ha fatto.

- Qualunque spiegazione non lo giustificherà!

- Lo so… ha tradito la nostra fiducia ma anche noi non siamo stati sinceri e avevamo le nostri ragioni, lui avrà le sue ed io le voglio conoscere.

Terence sospirò cercando di allentare la tensione che gli stringeva il petto. Sapeva che se si fosse trovato davanti Albert in quel momento non sarebbe riuscito a comportarsi da gentiluomo, aveva bisogno di un po’ di tempo per calmarsi.

- D’accordo… però io resto qui, quando avrete finito dovrà ascoltarmi!

Candy salì in barca, Terence rimase a terra.

Trovò Albert a bordo, da solo. Liam era con la tata.

- Candy santo cielo, ma dov’eri finita? Ero in pensiero, ti ho cercato ovunque.

- Scusami, avevo bisogno di stare un po’ da sola…

- Stai bene? – le chiese avvicinandosi per abbracciarla.

Lei si scostò dicendogli che dovevano parlare.

- Penso che tu sappia di cosa.

Albert si sedette. Il bel viso di cui Candy conosceva bene l’espressione serena e confortante, le appariva tirato, quasi irriconoscibile.

- Terence dov’è?

- Fuori, è stato lui a trovarmi e a riportarmi qui. È molto… arrabbiato.

- Anche tu lo sei immagino.

- Sono confusa Albert, non riesco a capire come tu abbia potuto fare una cosa del genere… perché? Anch’io ho le mie colpe lo so bene, ma tu… ti sei voluto vendicare forse?

Nella voce di Candy non c’era odio o rancore ma solo delusione. Aveva sempre considerato Albert l’uomo migliore del mondo, quello che sapeva in ogni circostanza fare la cosa giusta, che era in grado di trovare parole di conforto, che le era stato vicino ogni volta che lei ne aveva avuto bisogno. Ma probabilmente era proprio questo lato del suo carattere, il fatto di riuscire a risolvere qualsiasi problema, che lo aveva portato a sbagliare.

- La cosa che più mi ferisce è che tu possa pensare male di me, che tu abbia perso la fiducia in me come persona prima ancora che come marito.

- Io non voglio pensare niente, non posso accettare che tu sia completamente diverso da come io ti ho sempre considerato, ma ho bisogno di una motivazione, spero che tu possa spiegarmi cosa ti ha spinto ad agire in questo modo. Da quanto tempo sai che Liam non è tuo figlio?

- Forse quello che sto per dirti ti sembrerà assurdo e sei libera di non credermi, ma… fino a pochi giorni fa io pensavo che lui fosse mio.

- Ma Albert… le tue analisi parlano chiaro.

- Lo so, lo so cosa dicono… ma quando mi hai detto di essere incinta ho creduto che i medici avessero sbagliato, può capitare no?

- Sì può capitare, ma perché non me lo hai detto? Perché non me ne hai parlato?

- Ero così felice Candy… e pensavo che lo fossi anche tu.

- Dopo la nascita di Liam, non puoi non esserti accorto di quanto stessi male.

- Certo che me ne sono accorto… ero convinto che fosse a causa della gravidanza, il parto, la stanchezza perché il bambino dormiva poco… poi un giorno ho trovato una fotografia, un ritaglio di giornale in cui c’era lui… non potevo credere che la conservassi ancora! Così ti ho portata a teatro, per incontrarlo e per capire se tu davvero lo avessi dimenticato.

Candy rimase stupita da questa confessione: Albert lo aveva fatto di proposito dunque, perché già sospettava di loro che in realtà non si erano più visti.

- Quando siamo entrati nel suo camerino, come vi siete guardati, era già tutto chiaro, ma non potevo accettarlo… così quando sono partito… ti ho fatto seguire e…

- Cos’hai fatto!!

- Perdonami Candy ma ero fuori di me. In questo modo ho avuto le conferme che cercavo e ho iniziato anche a sospettare che il bambino non fosse mio… così ho deciso di venire qui in vacanza perché sapevo che c’era anche lui… quando Terence è salito sulla barca e l’ho visto insieme a Liam…

La voce di Albert si spezzò a questo punto e non riuscì più ad andare avanti. Candy comprese chiaramente quale doveva essere stata la sua sofferenza che si era comunque ben guardato dal mostrare, continuando a stare con lei pur sapendo di Terence. Comprese anche che in tutta quella storia non c’erano vittime e carnefici, ognuno aveva le proprie colpe, ognuno aveva commesso degli errori e ne stava scontando le conseguenze. Cercò di farlo capire anche ad Albert che non riusciva a darsi pace.

- Quando questa mattina sono tornato e tu non c’eri ho temuto… ho avuto una gran paura Candy… perdonami ti prego.

- Devo sapere un’ultima cosa… perché quando vi siete parlati non hai detto a Terence di Liam?

- Terence è un ragazzo intelligente, si è costruito una carriera incredibile tutto da solo ed è diventato un grande attore, ha esaudito il suo più grande desiderio. Ha una vita ricca, piena di soddisfazioni, fatta di lunghe tournée, viaggi, spettacoli, feste, belle donne… non ce lo vedo proprio a fare il padre di famiglia!

Candy rimase sorpresa, pensò di aver capito male.

- Che intendi dire?

- Andiamo Candy… Terence ha più di trent’anni ormai ed è abituato ad una vita da scapolo, a decidere da solo dove andare, cosa fare… senza doversi preoccupare di una moglie né tantomeno di un bambino! Non penserai davvero che intenda stravolgere la sua vita.

In quel momento Liam, che si trovava nella cabina accanto, iniziò a piangere. Candy andò subito da lui per cercare di calmarlo, in fondo era dalla mattina che non vedeva la mamma. Si era svegliato molto agitato, forse per un brutto sogno. Candy lo prese in braccio e subito il suo pianto si placò. Era quasi sul punto di riaddormentarsi quando lo sbattere di una porta gli fece riaprire gli occhi. Candy preoccupata tornò da Albert che non era più da solo, c’era Terence con lui.

- Terence ti avevo chiesto di aspettare… - lo rimproverò Candy.

- Ho aspettato abbastanza!

Era evidente che l’attesa non aveva fatto diminuire la sua rabbia, tuttaltro. Sembrò rasserenarsi un momento solo all’udire Liam che lo chiamava “Teri” con un gran sorriso stampato sulle labbra.

- Candy è meglio che porti via il bambino – le suggerì Albert, cosa che fece irritare ancora di più Terence.

- Ti conviene farlo restare invece, davanti a lui eviterò di spaccarti la faccia! Non voglio che mio figlio pensi che suo padre è un pazzo furioso, non voglio che sia questo il primo ricordo che avrà di me! Perché prima di oggi lui non sa niente di suo padre, non sa niente di me ed io non so niente di lui. Non l’ho visto nascere, né iniziare a camminare, né pronunciare la prima parola… chi posso ringraziare per tutto questo, spiegamelo Albert!

Terence si sforzava di non gridare, ma la sua voce risuonava ugualmente dura e affilata come una spada.

- Non hai il diritto di venire qui e parlarmi in questo modo, vedi di calmarti!

- Calmarmi!!! Tu saresti calmo se avessi appena saputo di aver perso i primi due anni di vita di tuo figlio!

- Forse se tu avessi affrontato la situazione quando hai rivisto Candy la prima volta, invece di fuggire e abbandonarla di nuovo!

- Io l’avrei abbandonata?! Me ne sono andato solo per il troppo rispetto che portavo a te, ma ora capisco che non avrei dovuto, hai ragione, sarei dovuto restare e riprendermela, perché tu non meriti il mio rispetto!

- No, non mi freghi caro Terence! Tu non te ne sei andato per rispettare me, tu te ne sei andato perché sapevi benissimo, come lo sai ancora, di non essere capace di renderla felice!

- Invece tu sì, giusto? Tu che hai costruito una famiglia basata solo sulle bugie, è questa la tua idea di felicità?

- Sempre meglio di quello che hai fatto tu, abbandonandola più di una volta, con il cuore a pezzi. Non sei capace di amare e pensi davvero di poter dare ad una come Candy quello di cui ha bisogno?

- Sì… se lei mi vorrà!

- Vi prego adesso basta! – li interruppe Candy.

Terence le andò vicino pregandola di andare via con lui. Lei gli chiese di uscire per parlare un momento da soli.

- Non posso venire via in questo momento…

- Stai scherzando Candy!

- Cerca di capire…

- No… tu e Liam venite via con me!

- Terry ti prego…

- Non voglio più sprecare un solo istante della mia vita senza di voi!

La sua voce si era fatta improvvisamente tenera come un abbraccio dal quale Candy capì che non avrebbe più voluto liberarsi. Decisero però che Terence sarebbe tornato alla villa da solo e lei lo avrebbe raggiunto in un secondo momento, insieme al loro bambino.

- Non farmi aspettare troppo, non ce la faccio più.

 

Appena Terence se ne fu andato, Candy tornò in cabina con Liam per preparare i bagagli, poche cose, soprattutto il necessario per il bambino.

- Che cosa stai facendo?

- Non posso restare qui.

- Hai davvero intenzione di andartene con lui? Vuoi distruggere tutto quello che abbiamo costruito? Candy ti prego, ascoltami.

Albert le si avvicinò, togliendole dalle mani alcuni indumenti che stava mettendo in valigia.

- Guardami… possiamo ancora essere felici, io tu e Liam.

- Albert mi dispiace…

- Non puoi andartene, non puoi portarti via mio figlio.

- Non è tuo figlio!

- Sono stato io a crescerlo fino ad oggi, Terence neanche lo conosce, che cosa vuoi che ne sappia un attore di bambini, di notti insonni, di febbre alta… non sarà mai un buon padre per Liam né un compagno alla tua altezza… non sa cosa significhi avere una famiglia, prendersi cura l’uno dell’altra, non è come noi…

- Finiscila… non è colpa sua se non sa cosa significhi avere una famiglia, ma sa cosa vuol dire amare fino ad annullare se stesso.

- Ti pentirai di quello che stai facendo… che cosa farai quando ti lascerà per andarsene in giro per il mondo?

- Aspetterò che torni o forse andrò con lui… non lo so. Se non sbaglio anche tu mi lasciavi spesso sola e non mi sono mai lamentata, non sono una bambina.

- Quando ero lontano da te io non mi sono mai permesso di guardare un’altra donna… lo sai con quante “fidanzate” viene fotografato di continuo il tuo Terry!!!

- Albert! Ora basta… non ti servirà a niente continuare a denigrarlo perché io lo amo, da sempre, esattamente per quello che è e credo di conoscerlo un po’ meglio di te.

- E lui, lui ti ama? Ne sei proprio sicura? Eppure non ha esitato a scegliere Susanna e quando sei tornata da New York disperata c’ero io accanto a te, a consolarti, come ho sempre fatto fin da quando ci siamo conosciuti.  Ricordi? “Sei più carina quando ridi…”, con Terence hai versato solo lacrime.

- È vero, tu mi hai sempre consolato, sei sempre venuto in mio aiuto cercando di risolvere tutti i miei problemi e questo non lo dimenticherò mai! Ma c’è solo una persona al mondo che può rendermi davvero felice… perdonami.

- Non lo farà!

- Potrai vedere Liam ogni volta che vorrai, adesso devo andare. Addio.

Candy scese dal Margarita sotto lo sguardo attonito di Albert, dopodiché insieme al piccolo salì sul taxi che l’avrebbe riportata da Terence.


Capitolo quattordici





- Candy… entra pure.

- Ciao Greta, scusami, avrei bisogno di parlare con Terence. 

- Certo… vado a chiamarlo, accomodati.

Terence si precipitò in soggiorno dove Candy lo stava aspettando, ansioso di riabbracciarla, ma si incupì appena notò l'assenza del bambino.

- Dov'è Liam? - le chiese subito.

- Sul taxi, c'è la tata con lui.

- Perché non lo hai portato con te?

- Vedi… non so se sia il caso che restiamo qui - rispose Candy imbarazzata.

- Ma che dici?

- Beh sono già stata qui con… Albert… insomma, cosa penseranno gli altri?

- Non penseranno niente perché sono andati via, in villa siamo solo io, Greta e Craig. 

- Forse sarebbe meglio che andassi in albergo. 

- Non dire sciocchezze… ci sono diverse stanze libere… non preoccuparti. 

A fatica riuscì a convincerla. Uscirono insieme, lui prese le sue valigie e Candy Liam, congedando la tata. Terence si preoccupò che avesse tutto il necessario per il bambino e l'accompagnò in una delle camere libere, dove c'era persino un lettino. 

- La mia è qui accanto - le sussurrò abbracciandola mentre il bambino curiosava intorno. 

La sentì sospirare.

- Stai bene?

Credo di sì. 

- Non voleva lasciarti andare, ho indovinato?

- Ha un po’ insistito…

- E tu che cosa gli hai detto?

- Che non potevo restare perché… è te che amo, da sempre.

- Ti amo anch'io.

- Lo so.

 

Dopo la cena Liam iniziò ad essere inquieto e a fare un po’ di capricci. I molti cambiamenti avvenuti durante quella giornata evidentemente lo avevano innervosito. Candy pensò fosse meglio portarlo a letto. Terence si offrì di aiutarla ma lei gli rispose che non era necessario. Così andò nella sua stanza e dopo il bagnetto riuscì a farlo calmare e pian piano cadde in un sonno profondo.

Anche lei si distese sul letto per cercare di rilassarsi con scarsi risultati a dir la verità. La sua mente vagava ripercorrendo in maniera confusa tutto quello che era successo, le parole dette e non dette, i volti di Albert e Terence mentre discutevano, mai avrebbe immaginato di arrivare a questo punto. Si chiedeva cosa avrebbero fatto adesso. Terence sarebbe dovuto tornare in Inghilterra molto probabilmente, a causa del suo lavoro… e lei?

I suoi pensieri vennero interrotti da qualcuno che bussava alla porta.

- Candy sono io, posso entrate?

- Entra. 

- Tutto bene? - le chiese Terence chiudendo la porta alle sue spalle.

- Sì… Liam si è addormentato. 

Terence si accostò lentamente al lettino restando incantato dalla visione che aveva davanti agli occhi. Candy gli andò vicino.

- È bellissimo… quasi quanto la sua mamma.

- Che bugiardo che sei… siete due gocce d'acqua per cui è bellissimo come te.

- Davvero… sono bellissimo?

- Lo sai.

- Tu di più - mormorò in un soffio, attirandola a sé con un braccio attorno alla vita e sprofondando il viso nel suo collo, in mezzo ai capelli.

- Terry che fai…

- Mi sei mancata da morire… se penso che stavo per perderti di nuovo, invece adesso sei qui con me ed io…

Il suo discorso si interruppe perché la sua bocca era impegnata a fare altro. 

- Terry ti prego… il bambino potrebbe svegliarsi.

- Così capirà quanto si amano i suoi genitori. 

- Dai non scherzare! Era molto stanco… se si sveglia si metterà ad urlare.

- Sarò super silenzioso…

Mentre parlava Terence continuava a baciarla sul collo e ad accarezzarla, cercando disperatamente il modo di slacciare la sua camicia da notte.

- Terry… 

- Shhh… o sarai tu a svegliarlo – mormorò mentre la camicia di Candy si arrendeva alle sue mani.

Caddero sul letto abbracciati. Da mesi non stavano così vicini e la loro passione si riaccese in pochi istanti.

- Non so quante volte ho sognato di tenerti così in queste notti… non te ne andrai più vero? Domani mattina quando mi sveglierò sarai qui, con me?

Candy non ebbe né la forza né il tempo di rispondere perché Terence si era già impossessato di lei, della sua bocca e di tutto il resto. L’urgenza di averla non lo faceva ragionare e lei lo sapeva, sapeva bene quanto fosse importante per lui fare l’amore con lei. Non che per Candy non lo fosse, Terence riusciva a trasportarla in un universo lontano fatto di pura estasi fisica e mentale, ma non era solo questo. Unire i loro corpi significava riconoscersi e mischiarsi in una maniera tale che anche quando si separavano ed erano lontani, l’uno portava sempre con sé qualcosa dell’altro, fino a quando non si ritrovavano di nuovo e potevano donarsi ancora pezzi di sé. Terence ne aveva un bisogno disperato, forse dovuto all’affetto di cui era stato privato fin da piccolo. Per questo aveva sviluppato un forte senso di possesso che riusciva a saziare solo attraverso il contatto fisico, in maniera quasi infantile e animalesca allo stesso tempo.

Candy era totalmente sopraffatta da questo suo modo di fare e pensava che lui avesse pieni potere su di lei, ma Terence a sua volta provava la stessa sensazione ed era questa reciproca schiavitù che li faceva arrendere entrambi di fronte alla forza di quella passione.

Fu lei a svegliarsi per prima la mattina dopo. Controllò il bambino che incredibilmente aveva dormito tranquillo per tutta la notte ed era ancora immerso in un sonno beato. Poi si voltò dall’altra parte e lo vide, sdraiato vicino a lei. Ripensò alle ultime ore trascorse insieme, a come avevano fatto l’amore, in maniera molto diversa da come erano sempre stati costretti a fare nei loro incontri clandestini, senza quella tenerezza intrisa dall’ansia di far presto perché avevano poco tempo e ognuno doveva tornare alla propria vita. Adesso le loro vite erano diventate una. Si sentì sollevata e felice dopo tanto tempo.

Terence si mosse ed aprì gli occhi.

- Buongiorno amore mio – gli disse.

Lui invece non disse nulla, semplicemente la baciò, intenzionato a riprendere da dove la stanchezza del giorno prima li aveva interrotti. In un attimo fu sopra di lei. La stanza era ormai inondata dalla timida luce del mattino e lui con un gesto nascose entrambi sotto il candido lenzuolo. Avrebbe voluto ancora una notte intera tutta per loro, ma in fondo non faceva troppa differenza pensò e riprese a giocare con il corpo di lei per convincerla ad assecondarlo.

- Terry credo sia molto tardi, sarà meglio che ci alziamo…

Lui mugolò qualcosa di incomprensibile, ma che somigliava molto ad un no, continuando ad esplorare ciò che il chiarore del giorno gli offriva in dono.

- Devo preparare la colazione a Liam… tra poco si sveglierà affamato… ti prego…

- E alla mia fame non ci pensi? – protestò come se fosse lui il bambino, continuando ad assaporare la sua pelle.

Candy sorrise afferrandogli il viso che stava pericolosamente scendendo verso il basso e riportandolo su, suscitando ancora in lui qualche mugugno di ribellione.

- Perché? Ero quasi arrivato al mio obiettivo…

- Avremo tutto il tempo d’ora in poi – gli sussurrò dolcemente.

- Facciamolo iniziare subito questo “tempo”! – esclamò sulle sue labbra, nel tentativo estremo di ottenere ciò che voleva.

Improvvisamente il lenzuolo sotto il quale erano nascosti si sollevò da un lato.

- Teri – mormorò una vocetta ancora impastata di sonno.

- Beccato! – esclamò Candy sorridendo compiaciuta – Adesso voglio proprio vedere come te la cavi.

Terence fece capolino fuori dal lenzuolo e ad accoglierlo trovò il musetto curioso di Liam che non sembrava tuttavia troppo sorpreso da ciò che aveva davanti.

- Ehi non stavi dormendo, piccolo furfante!

Si avvicinò al lettino poggiando le sue braccia sulla sponda. Liam vi si aggrappò e lui lo tirò fuori, cadendo platealmente sulla schiena con il piccolo addosso che scoppiò a ridere.

- Lo sai che sei stato bravissimo questa notte! La mamma ed io ci siamo divertiti…

- Terence! – lo interruppe Candy – Ti sembra il caso di dire queste cose ad un bambino?!

- Che problema c’è? È così che è venuto al mondo!

- Non è necessario che sappia adesso come nascono i bambini, sarà meglio aspettare che sia un po’ più grande! Dallo a me, credo che debba essere cambiato.

- Mi dispiace Liam… dobbiamo rimandare a più tardi i nostri discorsi da uomini! – esclamò strizzandogli l’occhio mentre il bambino provava a fare lo stesso.

- Mettiti qualcosa addosso prima di uscire dal letto…

- Chissà dove sono finiti i miei vestiti, li hai visti per caso Liam?

Il piccolo si guardò in giro incuriosito da qualcosa che giaceva inerme sul pavimento.

- Ehi grazie, ecco lì i miei pantaloni!

Terence uscì dal letto per recuperarli, mostrando senza ritegno il suo tonico fondoschiena e facendo alzare gli occhi al cielo a Candy.

- Devo fare una telefonata, non muoverti da qui, torno tra poco con la colazione!

- Non è necessario…

- È meravigliosamente necessario invece, aspettami qui – le sussurrò baciandola prima di dirigersi nella sua stanza.

Dopo una doccia veloce Terence si mise al telefono: non sarebbe stato affatto semplice comunicare al direttore artistico dello Shakespeare Memorial Theatre che il suo rientro a Stratford previsto per domani avrebbe subito qualche variazione non da poco.

- Mr. Hall so benissimo quali siano i miei impegni, ma è sopraggiunto un imprevisto che al momento non posso assolutamente ignorare.

- Che cosa mai può impedirle di essere qui, si può sapere?

- Mi dispiace… è un problema di natura strettamente privata e non posso dirle di cosa si tratta, ma le assicuro…

- Si rende conto di quello che mi sta chiedendo?

- Perfettamente.

- Sa meglio di me quanto sarà importante la prossima stagione teatrale, inizieremo una programmazione del tutto nuova, i tempi sono strettissimi, non possiamo permetterci di saltare neanche un giorno e lei viene a dirmi che addirittura non sa quando potrà rientrare in Inghilterra? È impazzito forse, il sole dell’Italia le ha dato alla testa?!

- Sono assolutamente consapevole del lavoro che mi aspetta, se mi lasciasse parlare…

- Graham la voglio qui al massimo tra due giorni, o verrà sostituito! Non so se sono stato chiaro.

Terence sapeva di non poter rimandare troppo il suo rientro in Inghilterra, ma era anche ben consapevole del fatto che non sarebbero mai stati in grado di sostituirlo, soprattutto in così breve tempo. Stava iniziando tuttavia a perdere la pazienza, in fondo da anni si dedicava anima e corpo al suo lavoro senza mai pretendere una pausa.

- Non dica idiozie e mi ascolti per favore. Ho bisogno di almeno tre settimane per sistemare alcune cose, ma le assicuro che quando tornerò a Stratford sarò assolutamente pronto e al pari con gli altri. Non posso fare diversamente.

- Tre settimane!!!

- Devo tornare a New York.

- Cristo santo!

Ci fu una pausa poi:

- Le dico solo una cosa Graham, veda di rispettare il suo contratto o io le rovino la carriera!

- Ad ottobre avrà il suo spettacolo e andrà alla grande. Come sempre!

Dopo quella turbolenta discussione, Terence tornò da Candy con un vassoio carico di squisitezze.

- Chi è più affamato, Liam o la mamma? Scommetto quell’ingorda di Tuttelentiggini! – esclamò entrando in camera.

Il piccolo si mise pacifico a bere il suo latte nel lettino, mentre Candy e Terence facevano colazione anche se lei non sembrava avere appetito in realtà.

- Stavo scherzando quando ti ho dato dell’ingorda.

- No… è che, non volendo, ho ascoltato la tua telefonata.

- E quindi?

- Non voglio crearti problemi, mi piacerebbe venire con te a Stratford, sempre che tu sia d’accordo naturalmente, ma ora non mi è possibile, devo tornare a New York, ma posso farlo da sola… non è necessario che tu mi accompagni.

- Quante sciocchezze stai dicendo!

- Capisco che non deve essere facile per te riorganizzare la tua vita… io non pretendo che tu cambi da un giorno all’altro le tue abitudini e soprattutto…

- La vuoi smettere! – la interruppe Terence prendendole il viso tra le mani – Prima di tutto sia ben chiaro che tu e Liam non siete un problema per me, siete la mia vita! Seconda cosa che mi sembra di averti già detto, non voglio più separarmi da voi neanche un minuto, per cui a New York ci andiamo insieme. Terzo: non posso mollare la compagnia così su due piedi per cui dovrò sicuramente tornare a Stratford, ma quando lo farò sarei l’uomo più felice del mondo se tu e Liam veniste con me, se anche tu lo vorrai.

- Terry io…

- Forse non hai capito: d’ora in poi decideremo tutto insieme e sappi che purtroppo non sarà facile. Sono un personaggio pubblico e la stampa scriverà fiumi di parole sulla nostra storia, per questo è ancora più importante essere uniti. Io ti amo Candy e qualunque cosa dovremo affrontare questo non cambierà mai!

Candy gli sorrise e gli sfiorò le labbra con un bacio.

- Adesso dimmi: preferisci questa fantastica ciambella al cioccolato oppure me?

- In questo momento direi… la ciambella!

- Ecco lo sapevo… la solita ingorda!


Capitolo quindici



[Fan art di Lizzi Villers Ardlay]


“Cerco sulla mia carne i segni delle tue labbra”

(Federico Garcia Lorca)

 

 

Amalfi, luglio 1929

 

Avevano trascorso la giornata in villa, facendo divertire Liam in piscina. Il piccolo si era così stancato che dopo la cena si era subito addormentato. Terence ne aveva approfittato per chiedere a Candy di fare due passi nella spiaggetta privata cui si poteva accedere solo tramite una scaletta, sul lato destro della casa.

Il sole non era ancora tramontato del tutto e la piccola insenatura sembrava uno scrigno pieno d'oro tale era la luce che la riempiva.

Passeggiando Terence non poteva fare a meno di ammirare la bellezza della donna che gli camminava accanto, anche lei gli appariva come un gioiello prezioso, troppo forse, tanto che spesso aveva pensato di non meritarlo.

Si erano seduti sulla sabbia. Il mare era calmo e timide onde carezzavano i loro piedi. Avrebbe voluto restare per sempre così, vicino a lei, in un posto isolato dal mondo. Era sicuro che non gli sarebbe mancato niente, non avrebbe avuto bisogno di nient'altro. Invece un pensiero crudele subito lo raggiunse, il giorno dopo si sarebbero imbarcati per tornare in America e chissà quante difficoltà avrebbero dovuto affrontare. Al riguardo Candy gli sembrava molto preoccupata, ma non si era confidata con lui.

- Pronta per tornare a New York? - le chiese cercando di indagare.

- Certo! - rispose ostentando sicurezza.

Lui la scrutò scettico. 

- Beh… quasi…

- C'è qualcosa in particolare che ti preoccupa?

- Sì ma…probabilmente non sarai felice di saperlo.

- Albert… giusto?

- Vorrei che tutto tornasse come prima tra noi… lo so che è assurdo, ma vorrei che Albert fosse di nuovo quello che abbiamo conosciuto… prima che….

- Prima che tu lo sposassi? 

Il tono aspro di Terence le confermò che non sarebbe stato facile affrontare l'argomento.

Il loro dialogo infatti si interruppe. Terence teneva lo sguardo fisso verso il mare, mentre lei giocherellava con un dito sulla sabbia tracciando piccole forme senza significato. 

- Finché non rinuncerà a te sarà impossibile avere un rapporto di… amicizia… con lui.

- Dopo tutto quello che è successo non può sperare ancora che lui ed io…

- …

- Comunque una volta a New York dovrò parlarci… anche perché mi ha chiesto di poter vedere Liam.

- Capisco, ma se vuole vederlo deve accettare il fatto che non è suo figlio e che appena possibile porterà il mio cognome!

- Lo so… concedigli un po’ di tempo però, ti prego.

- Purtroppo non ho molto tempo, devo tornare in Inghilterra e vorrei che queste cose si risolvessero prima della mia partenza.

Candy si incupì all'idea di doversi separare di nuovo, non era sicura infatti di poterlo seguire o almeno non subito. Terence se ne accorse e la strinse a sé.

- Affronteremo un problema alla volta, insieme, ok?

- D'accordo. 

- Adesso però basta parlare… ho voglia di baciarti, posso?

- Da quando chiedi il permesso?

Terence sorrise e senza rispondere si distese nella sabbia, attirandola su di sé, fermandosi ad osservarla.

- Beh… che significa… ci hai ripensato?

- Baciami tu!

Candy comprese che un improvviso attacco di gelosia lo aveva appena catturato, per questo desiderava essere rassicurato. Terence avrebbe tanto desiderato cancellare il passato che li aveva condotti su strade diverse, separandoli. Il loro percorso era stato difficile e tortuoso ma li aveva comunque portati fino a lì, su quella piccola spiaggia italiana, ancora innamorati.

Lo baciò con tutta la passione che aveva per lui, solo per lui, e non ci volle molto perché i loro corpi si ritrovassero intrecciati come le fibre di una corda.

- Terry… potrebbero vederci…

Lui non rispose, continuando a baciarla ferocemente sulle labbra, sul collo… come se volesse tatuarle la bocca sulla pelle. Ancora non riusciva a credere che fosse lì con lui, che fosse sua. Troppo dolore gli aveva trapassato il cuore e temeva che quella ferita non si sarebbe mai rimarginata. Per questo cercava nel corpo di lei l’unica medicina in grado di guarirlo. Solo dopo averla presa provava per qualche istante come la placida ebbrezza di un ammalato cui viene alleviata la sofferenza. Ma l’effetto durava poco ed ogni volta che lei gli parlava di Albert, la sua malattia non poteva che peggiorare.

Candy provò di nuovo a chiamarlo, dolcemente, ma lui la sollevò prendendola in braccio.

- Facciamo il bagno – le sussurrò tra i capelli, avvicinandosi lentamente all’acqua.

- Sei incorreggibile – lo rimproverò lei con un sorriso complice.

Il vestito di mussola bianca in un attimo aderì al suo corpo mettendone in evidenza le forme aggraziate, disegnando la rotondità perfetta dei seni e la linea sottile dei fianchi su cui le mani di Terence scivolarono fino a raggiungere il fondoschiena, mentre le sue labbra ne assaporavano la pelle profumata di mare. Lui si era tolto la camicia abbandonandola sulla spiaggia e in breve tempo anche i pantaloni fecero la stessa fine, dopodiché si inoltrarono nell’acqua più alta e Candy perse per prima il contatto con il fondo. Terence la attirò a sé in maniera che si tenesse a lui, incrociando le gambe intorno ai suoi fianchi. Lei lo guardava ammirata e completamente persa nei suoi occhi, adorava l’espressione che si dipingeva sul suo volto prima di fare l’amore con lei, un misto di dolcezza e desiderio, di passione folle e tenerezza che la stregava ogni volta.

- Oh Terry… potrò mai resisterti?

- Perché dovresti? Io non ti chiederò mai di farlo…

- Eppure lo hai fatto.

- Non accadrà più, né ora né mai! Perché io sono solo tuo, capito? Solo tuo!

Non dissero altro, i corpi parlavano per loro un linguaggio estremamente chiaro. Si immersero baciandosi sott’acqua, restando labbra su labbra anche una volta riemersi, respirando l’uno dentro l’altra. Candy sentì afferrare le sue cosce con forza. Immobile contro di lui, stringendolo attorno al collo, folle di desiderio, fu completamente sua. Provava un piacere estremo nel donarsi a lui e nel sentire lui goderne allo stesso modo. Era un’unione perfetta, naturale e miracolosa.

Tornati sulla spiaggia, si fermarono sdraiandosi senza fiato sulla sabbia. Rimasero un po’ in silenzio, cercando di calmarsi. Il sole era quasi del tutto calato e la scogliera alle loro spalle stendeva una lunga e fresca ombra che li fece rabbrividire.

- A volte vorrei poter tornare indietro – l’udì mormorare e si voltò a guardarlo. Terence aveva il viso verso il cielo, la voce intensa e gli occhi chiusi. Tra le ciglia le sembrò di veder brillare qualcosa, ma forse era solo il mare rimasto impigliato sulle iridi che avevano rapito un po’ del suo blu.

- A quando?

- A quando lasciai Londra… quante volte ho pensato che avrei dovuto portarti con me!

- Era così difficile in quel momento…

- Forse… ma non impossibile. Invece di andare da solo all’orfanotrofio, avremmo dovuto andarci insieme…

- Perché pensi questo adesso?

Terence si alzò di scatto, si mise in ginocchio davanti a lei, la sua espressione era tesa.

- Dimmi che non ci perderemo più, anzi… promettiamocelo entrambi, qui, davanti al mare e al cielo come testimoni!

- Oh Terry… non devi dubitare di questo. Io ti amo da sempre…

- Lo so perché anch’io ti amo da sempre, ma fino ad ora non è stato sufficiente! Vorrei trovare il modo per essere sicuro che niente e nessuno ci dividerà più!

Una piccola voce richiamò la loro attenzione: Liam evidentemente si era svegliato e dalla terrazza, in braccio a Greta, li stava chiamando.

- Ora abbiamo un nuovo alleato – gli disse Candy sorridendo, prima di salutare Liam con la mano.

Anche Terence sorrise – Un piccolo guastafeste vorrai dire! – esclamò alzandosi e correndo verso la scaletta.

- Ora ti prendo… - gridò minaccioso verso Liam che per nulla intimorito lo aspettava con aria di sfida. Raggiunta la terrazza lo staccò da Greta facendolo volare in alto.

- Ma non stavi dormendo tu, sei un imbroglione lo sai?

Il bambino sorrideva divertito e fece non poche storie prima che Candy riuscisse a riportarlo a letto.

Anche Terence non riusciva a prendere sonno quella sera e, dopo una doccia, provò a rilassarsi in terrazza, fumando una sigaretta. Craig si unì a lui sorseggiando il suo scotch.

- Quando parti?

- Fra un paio di giorni.

- Vai direttamente a Stratford?

- Sì… invece immagino che tu tornerai a New York.

Terence annuì.

- Hai parlato con Hall?

- Sì, l’ho già avvisato.

- Ha fatto storie?

- Era furioso.

- Mi farà di sicuro qualche domanda allora, che cosa devo dirgli?

- Ti chiedo il favore di non parlargli di Candy, non adesso, è ancora presto. Glielo dirò io quando sarà il momento.

- Ok, però… succederà un macello quando si saprà, te ne rendi conto?

- Sì.

- E lei?

- Ci penserò io, lei non fa parte di questo ambiente, non dovrà essere coinvolta!

- Perdonami, non voglio scoraggiarti ma… appena i giornalisti scopriranno di chi si tratta, la perseguiteranno comunque e nella sua posizione, con un bambino… non sarà facile per lei.

- Troverò il modo di proteggerla!

- Te lo auguro e per qualsiasi cosa conta pure su di me.

- Ti ringrazio Craig.

- Quando pensi di tornare?

- Ho chiesto tre settimane, ma non credo che riuscirò prima di settembre.

- Settembre?! Terence!

- Lo so, sarò pronto… non posso fare diversamente.

- Sono anni che ti conosco e non ti ho mai visto così.

- Così come?

- Innamorato.

Terence strinse le labbra in un sorriso imbarazzato. Non era mai stato facile per lui riconoscere i propri sentimenti, ma ormai erano assolutamente evidenti che anche un cieco lo avrebbe smascherato.

- Buonanotte Craig.

- Notte.

Tornò nella sua stanza. Le valigie erano già pronte. Una volta arrivati a New York sarebbero andati ad abitare nel suo appartamento, ma prima Candy sarebbe dovuta andare a Villa Ardlay per prendere le sue cose e quelle di Liam, di sicuro avrebbe incontrato Albert. Terence desiderava accompagnarla ma lei era decisa ad andare da sola. Questo pensiero lo inquietava e fumare non aveva placato la sua agitazione. Uscì dalla camera e si avvicinò alla porta della stanza accanto. Tutto era silenzioso, probabilmente Candy e Liam già dormivano. Una flebile luce si allungava sul pavimento. Entrò cercando di non fare rumore e la vide distesa sotto il lenzuolo candido, i riccioli sparsi sul cuscino, una mano posata su quella del bimbo addormentato vicino a lei. Si sdraiò sul letto ammirando quella visione la cui dolcezza penetrò ogni fibra del suo cuore e lo indusse a credere che tutto si sarebbe aggiustato, che avrebbe trovato il modo di difendere questo amore unico che gli era stato donato.


Capitolo sedici




“Solo l’amore può guarire il male che ha fatto l’amore”

(Karen Blixen)

 

 

New York, agosto 1929

 

Una volta rientrati negli Stati Uniti Candy e Liam si trasferirono in Park Avenue, nell’appartamento che Terence aveva acquistato qualche anno prima quando ancora lavorava a Broadway. Oltrepassando la soglia Candy si sentiva felice ma anche frastornata, era preoccupata soprattutto per il bambino, temeva infatti che tutti questi cambiamenti lo avrebbero confuso. Anche Terence non era particolarmente tranquillo, sapeva che non sarebbe stato facile per un personaggio pubblico come lui tenere lontana la stampa e nascondere, almeno per un po’, la presenza di una donna in casa sua e addirittura di un bambino, il suo bambino!

Greta che conosceva bene l’ambiente dello spettacolo e sapeva quanto potesse essere crudele, salutandolo gli aveva augurato buona fortuna. Lui l’aveva ringraziata per il sostegno e soprattutto perché si era dimostrata una vera amica nonostante all’inizio mirasse ad altro.

- Sei in debito con me Graham, non te lo dimenticare!

- Saldo sempre i miei debiti.

- Allora ti farò sapere appena verrà fissata la data per il provino del conte Vronskji!

- Tu non molli mai eh!

- Sono piuttosto testarda lo ammetto, come te del resto!

Già, era decisamente un tipo cocciuto e nella sua professione aveva sempre raggiunto qualsiasi obiettivo si fosse prefissato, ma col cuore era diverso. Pensava a volte di aver sbagliato ogni cosa e anche se ora desiderava con tutte le sue forze andare avanti, lasciando il passato alle spalle, sapeva che non sarebbe stato semplice perché non poteva più permettersi di commettere errori.

Albert era tornato a New York prima di loro, così quando Candy si recò alla villa sapeva che lo avrebbe trovato a casa. Come avevano stabilito andò da sola, Terence non le disse nulla ma la strinse forte prima di lasciarla andare. Liam rimase con lui, quasi come a garanzia del suo ritorno. Se Albert avesse desiderato vederlo, sarebbe dovuto andare a casa Graham.

 

 

- Ciao.

- Entra... come stai?

- Bene… tu?

- Non so.

- Albert…

- Ho fatto preparare quello che mi hai chiesto.

- Ti ringrazio… dovrei salire un attimo nella mia stanza, mi sono ricordata di alcune cose…

- Certo, va’ pure.

 

Candy si trattenne nella camera per pochi minuti, poi passò in quella del bambino per recuperare alcuni oggetti a cui era particolarmente affezionato. Albert era rimasto al piano terra, in salotto. Ad un certo punto udì la sua voce alle sue spalle.

- Perché non lo hai portato?

- Lo sai, eravamo d’accordo così no?

- È lui che non vuole che io lo veda, giusto?

- Lui chi?

- Lo sai di chi parlo!

- Non puoi chiamarlo con il suo nome?

Candy si voltò. Albert se ne stava sulla porta, con una spalla appoggiata allo stipite e le braccia incrociate, l’espressione ferita di chi non si arrende. Lei gli si avvicinò lentamente, cercando di restare calma e di riconoscere sotto quel viso così duro lo sguardo dolce e comprensivo di sempre.

- Ti prego, non scateniamo una guerra inutile.

- Inutile?!

- Sì, perché non servirà a niente se non a farci del male. È questo che vuoi?

- Io voglio indietro la mia famiglia! Non voglio perdervi Candy, né te né tantomeno Liam. È così difficile da capire?

- Ma noi non ci perderemo mai Albert, anche se il nostro rapporto sarà diverso questo non significa che non ci vedremo più. Ne ho parlato anche con Terence e lui è d’accordo con me.

- Ne hai parlato con Terence!!! Adesso è lui che decide quale deve essere il mio rapporto con te?!

- Non è questo che ho detto! Ascolta… io ho preso la mia decisone e non tornerò indietro, che sia ben chiaro, ma chiedo a te la stessa cosa che ho chiesto a Terence: cerchiamo di darci un po’ di tempo e sono sicura che riusciremo a trovare il modo di capirci.

Albert abbassò la testa, non era per niente convinto di ciò che lei gli stava dicendo, non credeva affatto che Terence avrebbe acconsentito ad avere un rapporto quantomeno civile con lui. Pensò quindi di metterlo immediatamente alla prova.

- Resti a New York per molto?

- No, ho deciso di passare qualche giorno a La Porte, parto dopodomani con Liam, Terence ci raggiungerà in un secondo momento e poi… vedremo.

- Anch’io torno a Chicago, perché non facciamo il viaggio insieme?

- Beh io non sono sicura…

- In questo modo potrei passare un po’ di tempo con Liam, ma immagino che a Terence non starà bene!

- D’accordo, non c’è alcun problema.

Albert sorrise e la baciò sulla guancia prima di salutarla. Non le piaceva il suo atteggiamento, Terence aveva ragione, non aveva ancora rinunciato a lei. Il desiderio di vedere Liam era più che legittimo, temeva tuttavia che fosse in parte una scusa per poter stare con lei e magari tentare di ricucire il loro rapporto.

Tornò a casa. In soggiorno non c’era nessuno. Salì al piano superiore dove si trovavano le camere, ma niente. Scese di nuovo e aprendo la porta dello studio scorse qualcuno attraverso la finestra che dava sul giardino. Si avvicinò al vetro. Terence e Liam erano seduti per terra, sopra una coperta. D’un tratto il piccolo si alzò e corse via, poi tornò verso di lui e gli si gettò addosso facendolo scivolare all’indietro sulla schiena, Terence lo sollevò con le braccia e in quel momento videro Candy alla finestra. Lei sorrise e uscì fuori. Liam le andò incontro, lei lo prese e tornarono insieme verso Terence.

- Vi state divertendo voi due!

Era rimasto sdraiato sulla coperta, con un braccio piegato con cui sorreggeva la testa, lo sguardo verso i fili d’erba con cui giocherellava con l’altra mano.

- Sei tornata adesso? – le chiese improvvisamente serio.

- Sì.

Avrebbe voluto chiederle molte cose, ma sapeva che avrebbe finito col farle un vero e proprio interrogatorio. Attese con fatica che fosse lei a parlare.

- Devo dirti una cosa.

Lui annuì leggermente con la testa, continuando a non guardarla.

- Albert torna a Chicago e, dal momento che anch’io vado a La Porte, mi ha chiesto di fare una parte del viaggio insieme… per poter passare del tempo con Liam.

- E con te!

- Terry…

- Continui a fidarti di lui dopo il modo in cui si è comportato? Ha mentito sia a me che a te!

- Lo so… ma ho parlato chiaro con lui e sono sicura che riusciremo a costruire un rapporto corretto, però ci vorrà del tempo e tu devi aiutarmi.

- Io farò la mia parte se lui farà la sua! Non gli permetterò di prendersi gioco di me, di noi!

Candy si sedette vicino a lui, mentre il bambino correva per il giardino tentando di far volare un aquilone.

- Tutto ciò che desidero è qui, tu e Liam, ma non riesco ad ignorare chi ha fatto parte della mia vita fino a poco tempo fa e poi Albert ha sempre avuto un ruolo molto importante… se non fosse stato per lui io non sarei mai arrivata a Londra e non ti avrei mai conosciuto.

- Quello del tutore era il suo ruolo infatti, non quello di marito, tantomeno quello di padre dei tuoi figli!

Terence si alzò per rientrare in casa, ma Candy lo trattenne abbracciandolo.

- Ti prego – mormorò sfiorandogli il collo con le labbra.

- Non fare così… - le rispose sospirando, piegando la testa leggermente all’indietro in modo che lei potesse raggiungerlo con facilità.

Il bacio sul collo divenne più intenso fin tanto che Terence non si voltò.

- Stai forse cercando di corrompermi?

- Certo! Indovina chi mi ha insegnato questi metodi?

Sorrise.

- Mi farai diventare pazzo!

- Lo sei già!

 

 

*******

 

Chicago, agosto 1929

 

- Ci sei?

- Sì.

- Arrivo.

- Ti aspetto.

 

Candy era partita per La Porte, Terence l’avrebbe raggiunta dopo un paio di giorni, ma prima aveva deciso di fermarsi a Chicago. Quella mattina di fine agosto, cercando di tenere a bada la rabbia che sentiva premere sulle tempie, salì i gradini di Villa Ardlay per incontrare Albert.

Un maggiordomo lo fece accomodare in un ampio salotto, dicendogli che avrebbe avvisato il signore della sua visita. Terence alzò gli occhi al cielo e con un tirato sorriso di convenienza si accomodò in attesa di essere ricevuto. Dopo pochi minuti il domestico tornò invitandolo a seguirlo.

 

- Che cosa vuoi?

- Questa domanda dovrei farla a te, io ho già tutto ciò che voglio e mi è costato molto caro ottenerlo!

- Non cominciare… non sei l’unico che ha sofferto in questa storia! E poi dovresti avere almeno l’umiltà di riconoscere i tuoi errori.

- Con che coraggio… tu non sbagli mai vero?

- Certo… infatti avrei dovuto capirlo molti anni fa che non eri l’uomo per lei!

Terence gli si avvicinò furente, afferrandolo per la giacca con il pugno alzato.

- Chi ti credi di essere?

- Colpiscimi pure… solo questo sai fare!

Strinse ancora di più le dita attorno al colletto, avrebbe potuto sferrargli un destro molto facilmente perché Albert sembrava non opporre resistenza, invece mollò la presa.

- Usciamo! – gli disse indicando il giardino.

Faceva piuttosto caldo. Dopo aver camminato per alcuni minuti in silenzio si sedettero su una panchina all’ombra di alcuni alti faggi. Gli animi sembravano essersi placati ma nessuno dei due osava ancora parlare. Terence ripensava a ciò che gli aveva chiesto Candy, sapeva quanto fosse importante per lei recuperare l’amicizia di Albert. Anche lui in fondo lo ricordava come un ragazzo di cui aveva avuto fin da subito una grande stima, così come molto forte era stata la sintonia tra loro quando si erano conosciuti a Londra e lui lo aveva aiutato ad uscire sano e salvo da una scazzottata.

Anche la mente di Albert era attraversata da pensieri che avevano Candy al centro. Il loro viaggio in treno fino a Chicago era stato molto tranquillo, lei gli era apparsa finalmente serena dopo tanto tempo, con una luce particolare negli occhi e una dolcezza sul viso che appartiene solo a chi si sente molto amato. Era stato costretto ad accettare che tutto questo dipendeva dal suo riavvicinamento a Terence, all’unico uomo che lei avesse veramente amato e che amava ancora senza alcun dubbio. Perché ora davanti a lui invece non riusciva ad ammetterlo? Sentiva che sarebbe stato inutile, tutto inutile e allora… che fare? Come fare? Cercò dentro di sé la verità, ripensando a quando aveva incontrato Candy la prima volta, alla sua straordinaria somiglianza con la sorella Rosemary che aveva perso da poco all’epoca e pian piano iniziò a comprendere. Come se la nebbia si diradasse ed emergesse un sole luminoso che pur ferendolo lo rasserenava. Trovò allora il coraggio di parlare.

- Fin dal primo giorno in cui ho conosciuto Candy ho avvertito il forte desiderio di aiutarla a trovare la sua strada, ad essere felice. Lei era solo una bambina ed io poco più di un adolescente, anch’io ero in cerca del mio posto nel mondo, rifiutavo il mio ruolo di capostipite della famiglia e volevo seguire i miei sogni. Non so come spiegarlo, ma ridare il sorriso a quella bambina che stava piangendo disperata mi dette una grande forza e mi permise di decidere cosa volessi fare.

Terence lo ascoltava con attenzione, anche lui conosceva il potere di Candy di infondere fiducia e coraggio. La voce di Albert si era fatta lieve come di chi sta ricordando il periodo più bello della vita. Lui invece non aveva molti episodi piacevoli da richiamare alla mente, il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza era stato il più difficile fino a quando non l’aveva incontrata. Per tutti e due Candy aveva rappresentato un cambiamento importante nella loro esistenza ed entrambi non avevano potuto fare a meno di amarla.

- Ho sempre cercato di aiutarla, di risolvere ogni suo problema e lei ogni volta ha trovato in me supporto, incoraggiamento, consolazione. Si è spesso stupita di come io facessi ad essere presente proprio quando lei ne aveva più bisogno. Persino nel momento più buio, di ritorno da Broadway, Candy ha cercato me. C’è voluto molto tempo perché riuscisse a riprendersi, io le sono stato vicino ma capivo che nonostante avesse recuperato apparentemente una vita normale… il suo cuore portava ancora i segni di una ferita profonda e temevo che li avrebbe portati per sempre, a meno che non avesse trovato un altro amore… qualcuno alla tua altezza.

Albert aveva pronunciato queste ultime parole voltandosi lentamente verso Terence. Si erano guardati negli occhi e solo a quel punto si erano riconosciuti come gli amici di un tempo.

- Ho creduto di poter risolvere anche questo: sapevo che non avrebbe mai amato allo stesso modo in cui aveva amato te e lo sapeva anche lei, per questo mi disse di sì. Ed io mi sono illuso che l’affetto che provavamo l’uno verso l’altra sarebbe stato sufficiente, probabilmente non mi sbagliavo se solo il destino non vi avesse fatto incontrare di nuovo. Ero felice con lei e per molto tempo ho creduto che anche Candy lo fosse. In pochi mesi le cose sono cambiate ed io ho dato la colpa della sua irrequietezza alla gravidanza, ma poi ho capito e… ho perso la testa… mi ha ferito molto sapere che lei mi stava mentendo… ma ora non serve più parlare di questo.

- Che intendi dire?

- Durante il nostro viaggio in treno ho avuto modo di osservarla da vicino, solo lei ed io… ha lo stesso sguardo di quando a Londra veniva a trovarmi al Blue River e non faceva altro che parlarmi di te, fingendo che tu le fossi insopportabile! L’unica differenza è che ora ha il coraggio di gridare a tutti quanto ti ama.

Terence avvertì un brivido attraversargli il corpo dalla testa ai piedi, era questo infatti l’effetto che gli provocava sentire confermare l’evidenza dei sentimenti di Candy verso di lui, come se ancora non ne fosse del tutto sicuro.

- Ti confesso che ho pensato tu volessi tentare di riconquistarla…

- Lo immaginavo e c’ho pensato anch’io, ma non ha senso cercare di riprendere ciò che non è mai stato mio… torniamo dentro, devo darti una cosa.

Rientrati nello studio, Albert andò verso lo scrittoio ed estrasse da un cassetto una busta, poi la porse a Terence.

- Sono sicuro che sarai un ottimo padre per Liam.

Terence prese la busta e strinse forte la mano che l’amico gli aveva teso.

Poco dopo aver lasciato Villa Ardlay, guidando verso La Porte, ripensava a ciò che si erano detti. Quasi non riusciva a crederci, ma in cuor suo sapeva che Albert non lo avrebbe deluso. Dette uno sguardo sul sedile accanto, alla busta bianca che gli aveva consegnato e sorrise, premendo sull’acceleratore. Non vedeva l’ora di riabbracciare Candy ed il loro bambino.


Capitolo diciassette


[Fan art di Lizzi Villers Ardlay]


“Aveva constatato l’incredibile potenza dell’amore, capace di riannodare due sottilissimi fili

che si erano persi nella confusione della vita”

(Dino Buzzati, Un amore)

 

 

 

La Porte, agosto 1929

 

Nell’attesa si era soffermato ad osservare quella fotografia che la ritraeva ancora ragazzina, prima che lui la conoscesse. Gli sembrava che non potesse esistere una Candy che non avesse fatto parte della sua vita, tanto questa era permeata della sua presenza. Eppure c’era stato un periodo in cui lei gli era quasi completamente estranea se non fosse stato per il fatto che gliene aveva parlato molto, raccontandogli episodi e particolari della sua infanzia che gli erano diventati familiari senza averli vissuti. Il giorno in cui si era recato all’orfanotrofio per vedere dov’era cresciuta, aveva potuto toccare con mano tutto ciò che aveva ascoltato dalle sue labbra: le sue parole avevano trovato sostanza e forma negli occhi affettuosi di Miss Pony e suor Lane, nel dolce pendio della collina, nel grande albero dove si arrampicava da piccola. Era stato un momento molto difficile, Terence si ricordava bene l’angoscia che aveva nel cuore tanto che a volte la sentiva ancora pungere come un coltello e che solo l’accoglienza ricevuta aveva potuto lenire.

Erano trascorsi quasi quindici anni da allora, cosa avrebbe trovato adesso?

 

- Buongiorno.

- Buongiorno Miss Pony.

- Mi perdoni se l’ho fatta aspettare ma dovevo organizzarmi con i bambini. Come le ho detto prima, Candy è uscita con suor Lane per delle compere, forse non si aspettava il suo arrivo.

- In effetti sarei dovuto essere a La Porte nel pomeriggio, ma una questione si è risolta prima del previsto e così… mi scusi se non ho avvisato.

- Non si preoccupi, ma non stia in piedi, si accomodi. Ho notato che stava ammirando quella fotografia.

- Mi domandavo quando fosse stata scattata.

- Candy era già grandicella, risale a poco tempo prima che si trasferisse dai Lagan.

- Non sembra cambiata molto da allora.

- Invece è passato parecchio tempo dall’ultima volta che è stato qui. A quanto pare sono accadute molte cose di cui sono venuta a conoscenza solo alcuni giorni fa e lei capirà quanto sia difficile in questo momento per me averla davanti.

Terence sospirò. Lo sguardo di Miss Pony non era decisamente come lo ricordava.

- So che è stata Candy a volerci parlare prima da sola, ma io avrei preferito ci fosse anche lei.

- Non volevo di certo sottrarmi alle mie responsabilità, ma Candy ha pensato che fosse giusto informarvi senza di me, però adesso sono qui e può chiedermi tutto ciò che desidera.

- Bene. Quando ha incontrato Candy, sapeva che era diventata la signora Ardlay?

- No, non lo sapevo.

- Non è possibile, la notizia era su tutti i maggiori quotidiani vista la posizione del signor Albert.

- Le giuro che non lo sapevo, mi sono trasferito in Inghilterra prima che venisse celebrato il matrimonio.

- E quando vi siete incontrati Candy non glielo ha detto?

- No, ed io non gliel’ho chiesto e sa perché non l’ho fatto? Perché non avrebbe cambiato le cose in quel momento… mi perdoni se glielo dico in maniera così brutale, ma quando Candy ed io ci siamo rivisti, nonostante gli anni trascorsi lontani, è stato come se…

- La prego si fermi!

- No, mi lasci finire… è stato come se nulla fosse cambiato! La sola differenza era che siamo cresciuti, non siamo più due ragazzini che si sono lasciati portare via l’amore della propria vita.

- Con che coraggio viene qui a parlarmi d’amore?

- Con il coraggio della disperazione che ho toccato con mano, se non fosse stato per l’amore che provo per Candy non sarei qui adesso.

- Perché non l’ha cercata prima?

- Perché il dolore fa paura, molta. Ho rischiato di perdermi e credo che anche per Candy sia stato così, lei dovrebbe saperlo meglio di me.

- Sì… lo so. Ma so anche che solo grazie ad Albert aveva ritrovato un po’ di serenità e adesso…

- Si sbaglia Miss Pony, mi dispiace doverglielo dire ma questa è la verità: nonostante abbia sposato Albert, Candy non ha mai smesso di amarmi come io non ho mai smesso di amare lei.

- Parla del matrimonio come se non significasse niente, si rende conto di quello che sta dicendo?

- Proprio perché lo rispetto sono convinto che questa unione non abbia mai avuto senso. È solo l’amore che può condurre due persone a legarsi per l’eternità, nient’altro. Candy ed io lo eravamo già, lo siamo sempre stati.

Miss Pony si alzò in piedi interrompendo la discussione, non perché fosse arrabbiata con Terence ma piuttosto con se stessa. Ciò che lui le stava dicendo e il modo in cui lo faceva, lei sapeva che era tutto vero. Conosceva bene la sofferenza a cui erano stati condannati da un destino ingiusto, sapeva il modo in cui entrambi si erano sacrificati e riconosceva senza alcun dubbio la grande generosità non solo di Candy ma anche di Terence. Tuttavia l’educazione ricevuta, la sua grande fede soprattutto le rendevano difficile accettare la fine di un matrimonio e il tradimento che ne era stato la causa. Poi c’era la questione del bambino.

- E di Liam che cosa mi dice?

- So che Candy probabilmente non ve ne ha parlato, volevamo farlo insieme perché vede il bambino ha avuto un ruolo determinante…

Proprio in quel momento l’allegra euforia di Liam spalancò la porta ed invase la stanza. Appena vide Terence gli corse incontro gridando “dady”! Il padre lo prese al volo stringendolo tra le braccia.

L’espressione allibita di Miss Pony e suor Lane che si era fermata sulla porta vicino a Candy, si mantenne tale per diversi secondi, almeno fino a quando la loro adorata ragazza non confermò con un dolce sorriso che il padre di Liam era proprio Terence.

 

Candy e Terence si fermarono a La Porte ancora per qualche giorno, prima di ripartire insieme per New York. La loro unione sembrava ogni giorno diventare più forte, consapevoli ormai del fatto che non si erano mai persi davvero, nonostante tutto. Persino Miss Pony e suor Lane dovettero cedere di fronte alla bellezza che emanava quella giovane famiglia, perché questo erano: una famiglia!

Avevano fatto degli errori, lo sapevano, ma ora erano insieme perché li avevano superati, ritrovando la strada del loro amore.

La sera prima di partire, distesi a guardare le stelle sulla collina, si sentivano leggeri e pieni di speranza.

 

- Credi che mi perdoneranno?

- Non devono perdonarti ma solamente cercare di capirti e secondo me lo hanno già fatto perché ti amano tanto, hanno stima e si fidano di te, delle tue scelte. Non è forse questo il significato di famiglia?

Era la prima volta che Candy udiva quella parola sulle labbra di Terence, lui l’aveva pronunciata come se avesse paura di sciuparla o piuttosto come se fosse qualcosa di tanto prezioso da non essere alla sua portata.

- Probabilmente impiegheranno un po’ di più a perdonare me.

- Non è vero… ti adorano!

- Mmmm… fingerò di crederti.

 

- Anche noi lo siamo adesso.

- Che cosa?

- Una famiglia, non credi?

- Beh… sì… è solo che… oggi quando siete arrivati e Liam è entrato correndomi incontro… urlando “dady”…

- Non è la prima volta che ti chiama così.

- Sì però… non lo aveva mai fatto davanti ad altre persone… ho sentito i polsi tremare…

- Sei ufficialmente suo padre… è questo che ti spaventa?

- Un po’.

- Sarai un padre eccezionale!

- Come fai ad esserne sicura?

- Semplice… perché hai al tuo fianco una donna eccezionale!

- Ah ok… giusto, me ne ero quasi dimenticato!

 

- Ti rendi conto che per la prima volta siamo insieme sulla mia collina, la vera collina di Pony?! Sono così felice che ho quasi paura a dirlo…

- Questo posto sembra avere qualcosa di magico.

- È così… a questa collina sono legate le persone più importanti della mia vita, e poi c’è papà albero che sa tutto di me.

- Secondo te papà albero potrebbe arrabbiarsi se ora ti baciassi?

- Credo che ne sarebbe felice.

- Sicura? Sull’altra collina per un bacio ho preso due schiaffi!

- E non ne è valsa la pena?

- Te lo dico dopo!

 

 

*******

 

 

New York, agosto 1929

 

Se non li avesse avuti lì davanti agli occhi non ci avrebbe creduto. Eppure erano proprio loro.

Il figlio le aveva scritto una breve lettera per avvisarla che sarebbero arrivati, senza entrare troppo nei dettagli com’era sua abitudine, del resto non sarebbe riuscito a spiegare a parole ciò che anche per lui era difficile descrivere.

Ma non ci fu bisogno di dire molto perché quando li vide scendere dall’auto e attraversare l’ampio cortile di Villa Baker, scambiandosi dolci sorrisi con i volti inondati dal sole d’agosto, tutto fu immediatamente chiaro.

Terence entrò per primo salutandola affettuosamente con un bacio sulla guancia, lei gli sorrise con gli occhi lucidi già rivolti alla donna che lo seguiva a poca distanza.

- Sto sognando?

- No mamma, è tutto vero!

Eleanor si avvicinò a Candy dapprima prendendole le mani poi, come se gli anni non fossero passati, la abbracciò con lo stesso affetto di quando si conobbero la prima volta in Scozia.

- Dio mio che splendida donna sei diventata, ma non avevo dubbi in proposito, eri già molto carina.

- Lei è troppo buona Miss Baker.

- Chiamami Eleanor ti prego.

Si trasferirono in salotto. Venne servito del tè accompagnato da alcuni dolci, ma a Candy si era chiuso lo stomaco.

 

- Che cosa penserà tua madre? – aveva chiesto a Terence poche ore prima.

- A che proposito?

- Di noi… del bambino… di me.

Terence l’aveva abbracciata teneramente dicendole che l’unico pensiero di Eleanor sarebbe stato quello di vederli felici.

- O magari penserà che io mi sia approfittata della situazione o peggio ancora che…

- Candy fermati! Temi che mia madre possa in qualche modo giudicarti male? Mia madre? Con tutto quello che ha passato lei?!

- Penserà che ho privato Liam dell’amore di suo padre come è accaduto a te con lei.

- Non è stata tua la colpa di quello che è successo e poi Liam è ancora piccolo, abbiamo tutto il tempo di recuperare il nostro rapporto. Ti prego, sta’ tranquilla.

 

Adesso che era davanti a lei Candy si sentiva più serena. La somiglianza fisica di Eleanor con il figlio era incredibile, lei la guardava con gli stessi occhi dolci e intensi, in più ogni parola che le rivolgeva aveva l’effetto di una carezza. Ma non le avevano ancora parlato del bambino.

- Non speravo più di poter ricevere una gioia così grande. Non voglio assillarvi troppo con le domande, ma mi piacerebbe molto sapere come vi siete ritrovati.

Terence prese la parola spiegando alla madre che in realtà si era trattato di un incontro fortuito, quando lui era tornato per un breve periodo a New York, circa tre anni prima.

- Tre anni? - chiese Eleanor sorpresa.

- Sì, beh… poi ci siamo persi di nuovo di vista, lei saprà che io…

- Candy cara non ti preoccupare, davvero, non devi spiegarmi né giustificarti con me assolutamente! La mia era semplice curiosità… è che sono così felice che ancora non mi sembra vero! Non importa che mi diciate altro.

- Veramente mamma… c’è una cosa che devi sapere.

Eleanor drizzò le orecchie perché erano poche le volte in cui Terence la chiamava “mamma” e quel giorno era già la seconda.

Anche Candy lo guardò con il volto teso.

- Che cosa c’è? – domandò Eleanor vedendolo esitare.

- Non ci girerò intorno: Candy ed io abbiamo un figlio, si chiama Liam e ha quasi due anni.

La donna si appoggiò di colpo allo schienale della poltrona, portando entrambe le mani al viso.

 

Una telefonata li interruppe, qualcuno da Londra cercava Mr. Graham. Candy gli fece cenno che poteva andare a rispondere, così le due donne restarono da sole.

- Che ne diresti di uscire in giardino a fare due passi?

L’aria di fine estate iniziava a raffrescarsi, era piacevole stare all’aperto all’ombra dei pini. Eleanor era silenziosa, assorta nei suoi pensieri. Candy trovò il coraggio di parlare nonostante l’agitazione che la faceva quasi tremare.

- Non intendevo dare scandalo, ma è successo e… Terence lo ha saputo solo qualche settimana fa.

- Perché non glielo hai detto? – le chiese tentando di mascherare un certo tono di rimprovero che non avrebbe voluto assumere.

- Perché non lo sapevo nemmeno io… mi dispiace Eleanor… non avrei mai voluto fargli questo…

Gli occhi di Candy si riempirono di lacrime. Si sedettero su una panchina.

- Oh no ti prego Candy, basta lacrime… ho l’impressione che tu ne abbia già versate molte. Adesso avrai bisogno di tutta la tua forza perché non sarà facile. Resterete qui a New York?

- No, andremo a Stratford, Terry ha un altro anno di contratto.

- Forse è meglio, anche se Terence ormai è molto conosciuto anche in Inghilterra dove però la stampa è meno feroce, ma comunque non sarà facile.

- Immagino.

- No Candy, non puoi immaginare di cosa sono capaci! Ma tu e Liam non dovrete subire quello che è accaduto a me e a mio figlio, Terry non lo permetterà.

- Questo lo so, ho piena fiducia in lui, ma non vorrei mai che il suo lavoro e la sua carriera ne risentissero in qualche modo.

- Terence Graham è ormai un attore affermato, non devi preoccuparti di questo, ma proprio perché la sua posizione è stabile sarà con te che se la prenderanno.

Candy spalancò gli occhi turbata.

- Perdonami, non voglio spaventarti ma solo metterti in guardia.

- Terence ed io pensiamo che per un po’ sarebbe meglio tenere nascosta la nostra relazione.

- Potrebbe essere la giusta soluzione, ma non potrete reggere a lungo, non sarebbe neanche giusto, e allora… quando vi sentirete pronti a rendere noto il vostro rapporto sappi che molte cose non ti saranno perdonate.

- Che intende dire?

- Beh prima di tutto non ti perdoneranno di essere così bella e quindi diranno che non sei all’altezza dell’attore più affascinante che esista, non ti perdoneranno di aver “accalappiato”, useranno proprio questo termine, lo scapolo più desiderato, non ti perdoneranno di essere già sposata e di aver fatto un figlio con un altro uomo, ma soprattutto non ti perdoneranno di essere una donna indipendente capace di scegliere, di seguire il proprio cuore anche a costo di pagarne le conseguenze! Dovrai essere forte Candy, per te, per tuo figlio, ma avrai Terence al tuo fianco. Lui non ti abbandonerà mai, stanne certa.

Eleanor pronunciò con la voce tremante quelle ultime parole, probabilmente ricordando quanto accaduto a lei quando il Duca padre di Terence l’aveva abbandonata portandole via il figlio.

Le due donne si abbracciarono, proprio nel momento in cui Terence uscì in giardino e vedendole insieme pensò di essere l’uomo più fortunato del mondo.


Capitolo diciotto



Stratford upon Avon, dicembre 1929

 

Da quando si erano trasferiti in Inghilterra non era stato facile mantenere segreta la loro relazione. Le cose erano ulteriormente peggiorate nel momento in cui era iniziata la nuova stagione teatrale e Terence Graham era tornato ad essere l’attore più atteso ed acclamato. Erano ormai diversi anni che lavorava a Stratford e la sua fama era andata aumentando sempre di più. Candy conduceva praticamente una vita da reclusa, potendosi permettere solo qualche uscita nel giardino del cottage dove abitavano, in una zona fortunatamente isolata della città, dove nessun giornalista osava avvicinarsi conoscendo bene la riservatezza di Graham. Nonostante questo si stavano diffondendo da qualche giorno varie voci sul fatto che la casa del bell’attore fosse allietata da una gradevole presenza femminile di cui non si conosceva né il nome né la provenienza.

Ma mentre Candy sembrava accettare serenamente la situazione, almeno per un anno si era detta e cioè fino a quando il contratto di Terence con il Royal Shakespeare Theater non fosse terminato, lui diventava ogni giorno più inquieto. Non era questa la vita che aveva sognato per loro e anche se ciò serviva soprattutto a proteggere Candy e il bambino, sentiva che c’era qualcosa di sbagliato in quel doversi nascondere e non faceva altro che pensare a come uscirne.

Mancavano pochi giorni a Natale. L’ultimo spettacolo prevedeva come da tradizione una breve conferenza stampa soprattutto per scattare qualche fotografia agli attori protagonisti. Graham come sempre era il più reclamato dal pubblico e suo malgrado doveva accontentare le ammiratrici le quali si domandavano come un uomo così affascinante potesse essere ancora scapolo.

La Compagnia al completo era attesa al White Swan Hotel, poco distante dal teatro dove da più di due mesi andava in scena The taming of the shrew (La bisbetica domata), una commedia in cui per la prima volta si era cimentato Graham riscuotendo un grandissimo successo nei panni di Petruccio. Dopo aver firmato la solita serie interminabile di autografi, sfoderando il suo incantevole sorriso e rispondendo con simulata calma alle domande rivoltegli dai giornalisti, Terence Graham non vedeva l’ora di rientrare a casa. Ma ogni volta che cercava di guadagnare l’uscita dell’hotel qualche imprevisto finiva sempre col trattenerlo, non facendo altro che aumentare la sua irrequietezza e diminuire la sua pazienza.

Persino Mr. Hall era presente quella sera, evidentemente per poter controllare personalmente che l’attore di punta della sua compagnia teatrale sul quale, dietro suggerimento di colui che aveva scoperto il talento di Graham, ovvero Mr. Hathaway, aveva investito gran parte del proprio patrimonio, si comportasse in maniera adeguata al suo ruolo. Ormai lo conosceva bene e sapeva che era un tipo diciamo piuttosto originale e che soprattutto non gradiva i bagni di folla e i giornalisti troppo invadenti.

- Lo spettacolo sta andando molto bene e anche se impegnarla in una commedia è stata una scommessa, devo ammettere che l’abbiamo assolutamente vinta! Le faccio i miei complimenti.

- La ringrazio Mr. Hall, come vede non aveva motivo di preoccuparsi.

- La mia preoccupazione era più che lecita dal momento che i soldi ce li metto io!

- Ma la faccia è la mia, sono io che salgo su quel palco e le assicuro che se avessi avuto anche il minimo dubbio di non farcela glielo avrei detto!

- È per questo che ho deciso di rinnovare il suo contratto anche per il prossimo triennio, cosa ne pensa?

- La sua offerta mi lusinga ma non credo che…

- Oh suvvia, ormai il pubblico inglese è ai suoi piedi e naturalmente ho previsto anche un aumento considerevole del suo ingaggio, le assicuro Graham che non avrà assolutamente di che lamentarsi!

- Mi perdoni Mr. Hall non è un problema di ingaggio e tantomeno di pubblico… il pubblico inglese è fantastico, ma avrei intenzione di…

- Non vorrà tornare a lavorare a Broadway! Con tutto il rispetto, cosa vuole che ne capiscano gli americani di Shakespeare, solo qui a Stratford continua a vivere l’anima del Bardo e lei resta fino ad oggi il miglior interprete che il mio teatro abbia mai avuto!

Mr. Hall pronunciò queste ultime parole alzando il tono della voce in maniera tale che risuonassero chiare in tutta la sala dove si diffuse un fragoroso applauso a conferma di ciò che aveva appena detto.

- Papà avevi promesso – squillò d’improvviso una ragazzina avvicinandosi all’orecchio dell’impresario.

- Figliola non vedi che stiamo parlando di affari qui!

- Ma avevi promesso! – continuò lei lagnandosi.

- Mi perdoni Terence ma i giovani d’oggi non hanno la minima pazienza di aspettare. Posso presentarle mia figlia Jacqueline? Studia alla Royal St. Paul School di Londra, è appena arrivata per le vacanze ed è una sua grande…

La giovane si fece avanti spavalda allungando la mano, senza aspettare che il padre terminasse la frase.

Terence sorpreso da tanta intraprendenza la salutò come si addice ad un vero gentiluomo, convinto che questo sarebbe stato sufficiente ma…

- Un valzer! – esclamò la vivace Jacqueline tendendo l’orecchio alla musica che era appena iniziata -Balliamo?

Senza attendere la risposta del bell’attore lo prese sottobraccio e lo condusse al centro della sala. E mentre lei pensava di essere la ragazza più invidiata della serata, Terence era deciso a non rimandare oltre l’abbandono della festa. Così, nonostante le insistenze della giovane Jacqueline che continuava a chiedergli un ballo dopo l’altro, alla fine riuscì a congedarsi e a raggiungere il guardaroba. Mentre attendeva che gli venisse consegnato il soprabito, la ragazza gli si accostò di nuovo e salutandolo con particolare entusiasmo gli stampò un bacio sulla guancia prima di correre via.

- Ho ancora un certo appeal sulle studentesse delle St. Paul School! – esclamò tra sé sorridendo. Sembrava passato un secolo da allora e mentre guidava i pensieri più dolci di quei giorni lo rasserenarono un poco: gli tornarono alla mente quei due giovani ribelli che non facevano altro che infrangere le regole, per la disperazione di Suor Gray (chissà dov’era?), e che si erano capiti fin da subito. C’era una scintilla nei loro occhi che bruciava ogni volta che si guardavano. Un manto di neve gelida sembrava averla spenta per molto tempo ma in realtà si era mantenuta viva, in attesa che i loro occhi si incontrassero di nuovo. No, non potevano continuare a nascondersi!

Entrò nel vialetto di casa ormai a notte fonda, ma notò subito la luce ancora accesa della loro camera. Faceva molto freddo quella sera e probabilmente la mattina dopo avrebbero trovato la neve al loro risveglio. Non vedeva l’ora di entrare in quel letto caldo e stringerla a sé. Tuttavia mentre percorreva la scala che portava al piano di sopra, il suo entusiasmo venne smorzato dalla proposta che gli aveva fatto Mr. Hall: tre anni di contratto, con un ingaggio sicuramente molto alto… in un altro momento non ci avrebbe pensato due volte ad accettare, ma ora.

Entrò prima in camera di Liam per controllare che tutto fosse a posto. Il piccolo dormiva beato, si era leggermente scoperto, così gli tirò su la copertina e dopo averlo ammirato ancora un istante uscì dalla stanza per passare a quella accanto. La porta era socchiusa. Anche Candy stava dormendo. La flebile luce della lampada sul comodino le illuminava la schiena e i capelli sciolti. Terence si avvicinò al letto per spogliarsi. Nel silenzio della notte il cigolio del pavimento in legno risuonò acuto e Candy si mosse restando comunque avvolta nel sonno. Solo quando lui si infilò sotto le coperte lei aprì gli occhi.

- Amore mio… sei tornato… - mormorò con la voce ancora confusa e gli occhi semichiusi.

- Scusami non volevo svegliarti.

- Io non volevo addormentarmi invece, ma che ore sono?

- È tardi…

- Com’è andato lo spettacolo?

- Molto bene.

- E il resto?

- Anche… ma sono felice di essere qui ora – le rispose con un sospiro, attirandola a sé per abbracciarla.

Sprofondando il viso nel suo collo ne aspirò il profumo, lasciando scorrere le mani dalla schiena ai fianchi avvolti nella seta. In silenzio accarezzava la sua pelle con il viso, come fanno i gatti quando vogliono un po’ di coccole. Poi la strinse ancora di più, incrociando le proprie gambe con le sue.

- Sei congelato – mormorò passandogli una mano fra i capelli – deve fare molto freddo fuori.

Terence non rispose, restò immobile godendosi quell’abbraccio.

In un primo momento Candy pensò che fosse piuttosto stanco, altrimenti avrebbe già tentato di andare oltre, poi però, sentendolo sospirare capì che c’era dell’altro.

- Terry…

- Mmm…

- Cosa c’è?

- Mi sei mancata tanto…

- Anche tu.

- Perché non ce ne andiamo?

- Per Natale intendi? E dove vorresti andare?

Terence uscì dal suo nascondiglio – Dove vuoi tu, ma non per una vacanza, intendo trasferirci da un’altra parte – le rispose.

- Che dici!

- Non è questa la vita che avevo immaginato per noi, non è giusto continuare a nascondersi. Sembra che il nostro sia un amore destinato a non poter essere vissuto normalmente.

- Terry ne abbiamo già parlato mi sembra, eravamo d’accordo di aspettare almeno questo anno e poi saremmo stati più liberi di decidere cosa fare. Non è facile lo so, ma possiamo riuscirci.

- C’era anche Mr. Hall stasera e indovina cosa mi ha proposto? Il rinnovo del contratto per altri tre anni!

- Beh… dovresti essere orgoglioso del fatto che…

- Invece non lo sono! È tutta colpa mia, se non fossi un attore bensì un impiegato delle poste nessuno si occuperebbe della mia vita privata.

- Troveremo una soluzione…

- Potrei anche smettere…

- Non lo dire neanche per scherzo!

- Ascolta… a New York mi hai detto che tutto ciò che vuoi siamo Liam ed io, per me vale la stessa cosa: tutto ciò di cui ho bisogno siete tu e nostro figlio. Ok volevo diventare un attore e l’ho fatto, mi sono tolto un sacco di soddisfazioni, posso tranquillamente fare altro d’ora in poi.

- Non vorrei mai che tu rinunciassi al teatro a causa mia, tu gli appartieni, sono sicura che me lo rinfacceresti alla prima discussione.

- Devo molto al teatro, è vero, mi ha tenuto in vita fino a quando non ti ho ritrovata, ma ora è a te che non voglio più rinunciare.

- Ma io sono qui adesso e non ho nessuna intenzione di andarmene!

- Non posso costringerti a fare questa vita, tu che come me hai sempre amato la libertà…

- Se questo è un modo per rispedirmi in America puoi scordartelo mio caro!

- Cosa?!

- Adesso capisco… vuoi restare qui da solo e riprendere la tua vita da scapolo impunito! – esclamò Candy con una finta aria di rimprovero.

- Non starai dicendo sul serio?

 

- Intanto, caro il mio attore, vorresti spiegarmi che cos’è questo profumo che hai addosso?

- Ho dovuto ballare con la figlia dell’impresario.

- Sei stato obbligato naturalmente!

- È solo una ragazzina, pensa che frequenta la St. Paul School!

- Se non sbaglio avevi un debole per le ragazzine della St. Paul School!

- Solo per una – mormorò tornando a sprofondare nel suo collo.

Candy sorrise, scivolando di nuovo sotto le coperte.

- Quello che voglio è tutto qui – mugolò Terence tra i suoi capelli, posandole le labbra sotto l’orecchio.

- Non è vero… non ti basterebbe!

- Hai ragione, però potrei spostarmi un po’ più in basso e trovare qualcos’altro di interessante, qui ad esempio – sussurrò trasferendo le sue labbra sul seno che la sottoveste lasciava appena intravedere – E poi, se ancora mi mancasse qualcosa, potrei continuare nella mia ricerca, c’è tutto un mondo qua sotto che non mi stancherò mai di esplorare.

- Terry…

Inutile chiamarlo, era già scomparso sotto le lenzuola e per quella notte non parlarono più.

 

La mattina seguente Candy si alzò per prima, sapeva ormai che Terence si svegliava sempre piuttosto tardi dopo uno spettacolo. Si concesse ancora qualche minuto sotto le coperte per ammirarlo disteso vicino a lei. Il respiro leggero, il suo profumo addosso, le labbra che ogni notte la facevano impazzire… dovette fare uno sforzo per uscire dal letto, ma sicuramente di lì a poco Liam avrebbe reclamato la sua colazione.

Indossò la vestaglia e scese in cucina. Dalla finestra si incantò ad ammirare il panorama: nel silenzio del giorno appena iniziato, un manto candido ricopriva ogni angolo del giardino tanto che il mondo esterno sembrava non esistesse più. In fondo non sarebbe male se per qualche giorno potessimo restare isolati da tutto, pensò pregustando di trascorrere il pomeriggio solo loro tre.

Un abbraccio avvolgente interruppe i suoi pensieri.

- Già sveglio?

- Ti ho cercata e non c’eri… non riuscivo più a dormire… torna a letto con me…

- Liam si sveglierà tra poco, affamato come al solito. Meglio che gli prepari la colazione se non vuoi sentirlo strillare!

- Mmm… ok allora vado io a svegliarlo così facciamo colazione insieme… quanta neve!

Candy sistemò la tavola e, nell’attesa che lui tornasse, si mise seduta a leggere i giornali del giorno che nonostante la neve erano stati consegnati puntualmente. Le piaceva vedere cosa scrivevano su di lui dopo ogni spettacolo, mentre a Terence non interessavano le recensioni o forse, come Candy sospettava, preferiva che fosse lei a leggerle e a riferirgli il contenuto in un secondo momento. Inutile dire che gli elogi per l’attore protagonista non mancavano: nonostante fosse la prima volta che si cimentava in una commedia, Graham era risultato credibile e senza dubbio all’altezza della sua fama, in poche parole anche stavolta era stato un successo! Gli articoli erano corredati da molte fotografie, sia dello spettacolo sia della festa che ne era seguita. Ce n’era una in particolare che la colpì e la fece riflettere su ciò di cui avevano parlato la sera prima. Doveva essere la figlia di Mr. Hall, la ragazzina della St. Paul School, che nella foto stampava a Terence un bacio sulla guancia afferrandolo per il collo. “Irresistibile” riportava la didascalia.

- Bene, bene… - fu il suo commento prima che Liam la travolgesse con un abbraccio, reclamando il suo latte.


Capitolo diciannove




Stratford-upon-Avon, 31 dicembre 1929

 

 

CATERINA:         Marito, entriamo anche noi, per veder la fine di tutto questo trambusto.

PETRUCCIO:      Prima dammi un bacio, Cate, poi entreremo anche noi.

CATERINA:         E che? In mezzo alla strada?

PETRUCCIO:      Ti vergogni forse di me?

CATERINA:         Non di te, Iddio ne guardi! Mi vergogno solo a baciarti.

PETRUCCIO:      Va bene. Allora vuol dire che ce ne torniamo a casa. Ehi, compare rimettiamoci in viaggio!

CATERINA:         No, no! Ti do subito il bacio. Te ne prego, amor mio, resta qui [L’abbraccia e lo bacia]

PETRUCCIO:      Non è forse magnifico? Vieni, Cate mia diletta, è meglio una volta che mai. Perché mai è troppo tardi.

 

La bisbetica domata aveva riscosso finora un notevole successo, per questo gli spettacoli si sarebbero interrotti solo per un paio di settimane e ben presto sarebbero ripresi a pieno ritmo. Fortunatamente la profonda crisi finanziaria che pochi mesi prima aveva determinato il crollo della borsa di New York sembrava, almeno per il momento, non avere ripercussioni sulla produzione teatrale.

La compagnia aveva organizzato un grande ricevimento per festeggiare l'arrivo del nuovo anno. Mr. Hall era stato categorico pretendendo che Graham vi prendesse parte. Terence non voleva andare ma Candy aveva tanto insistito che alla fine era riuscita a convincerlo. Anche se adesso, arrivato il momento di uscire, sembrava averci ripensato.

- Sei sicura?

- Ti ho già detto mille volte di sì!

- Non mi va di lasciarti da sola proprio stasera… non ti ricordi che giorno è?

- Certo che me lo ricordo, è il giorno in cui ho conosciuto un ragazzo sfacciato e presuntuoso che mi ha fatto andare su tutte le furie!

- Però bellissimo! Di’ la verità… sei rimasta subito impressionata dal mio fascino, scommetto che già quella notte stessa mi hai sognato!

Candy lo guardò per qualche istante, era ancora incredibilmente affascinante, anzi di più.  Ma a lui non lo disse, restò in silenzio mentre gli sistemava i gemelli che gli aveva regalato per Natale.

- Quella notte ho avuto gli incubi!

- Sarà stato per tutto lo champagne che ti eri scolata! - esclamò lui ridendo di gusto.

- Adesso vai o farai tardi!

- Le star arrivano sempre per ultime.

- Mmm… sei incorreggibile!

- Dammi un bacio - le sussurrò prendendole le mani per attirarla a sé. 

Candy soddisfece la sua richiesta senza esagerare altrimenti sarebbe stata lei a non lasciarlo andare.

- Ti giuro che torno prima di mezzanotte. 

- D'accordo mia Cenerentola!

 

Terry sei sempre così cocciuto! – mormorò Candy appena lui fu uscito, salendo di corsa le scale.

 

In effetti Graham arrivò per ultimo nella grande sale allestita per il ricevimento, accolto dal saluto dei colleghi e anche da qualche battuta.

- Ehi Terence… quante ammiratrici col cuore infranto hai dovuto lasciare per essere qui stasera?

- Beh David… io c’ho provato a dire loro che saresti passato tu ma non ne hanno voluto sapere!

- Il nostro David ormai non ha più tempo per queste cose… non lo sai? È innamorato!

- Ah davvero… e non ci dici nulla! E chi sarebbe la fortunata?

- Una ballerina francese… l’ha conosciuta quest’estate ad Antibes, in Côte d’Azur. Peccato che lavora a Parigi, all’Opera, e non può essere qui… il nostra David è tanto triste!

- Dai Arthur falla finita… per fortuna Graham è un tipo molto generoso e gli presterà una delle sue per inaugurare il 1930! Sempre che voglia partecipare al seguito della festa…

- Quale seguito?

- Abbiamo organizzato qualcosa di speciale dopo la mezzanotte… in un locale dove pare che le ragazze siano molto appassionate… di teatro!

L’ultima battuta di Michael fece ridere tutti, tranne Terence.

- A giudicare dalla faccia temo che Petruccio abbia già un impegno… un’altra bisbetica da domare, ho indovinato?

Terence sorrise alzando le sopracciglia in segno di assenso.

- Ti pareva! Però adesso devi dirci chi è, scommetto che si tratta di una nuova conquista! In effetti ti si è visto poco in giro ultimamente… sei anche rientrato in ritardo dalle vacanze e non è cosa da te!

- Deve essere una bellezza italiana allora!

- Perché non prendiamo qualcosa da bere, mi è venuta sete!

- Ecco che cambia discorso! Sei sempre il solito, non si può sapere mai niente di quello che combini!

- Secondo me potrebbe essere svedese…

- Se ti riferisci a Greta lei è solo una cara amica.

- E noi dovremmo crederci!

 

Dopo il discorso di Mr. Hall con cui elogiava l’ottimo lavoro svolto dalla compagnia teatrale fino a quel momento, gli ospiti presero posto a tavola secondo una precisa disposizione stabilita dal direttore in persona, un tipo a cui piaceva tenere sempre tutto sotto controllo.

Terence si sedette alla sinistra di Edith Ashcroft, l’attrice che aveva interpretato la bisbetica Caterina, mentre il posto accanto a lui stranamente era ancora vuoto.

- Sai per caso chi deve sedersi qui? – chiese sporgendosi verso David che fece cenno di no.

Forse Mr. Hall l’aveva tenuto libero per sé, ma quando vide il direttore sedersi dall’altra parte del tavolo gli sembrò alquanto strano. Guardandosi intorno ebbe la certezza che ormai non mancasse più nessuno, allora perché quella sedia era ancora vuota? Avranno sbagliato il conto, pensò e si mise a chiacchierare con Edith.

Dopo qualche minuto avvertì una voce femminile alle proprie spalle fargli una domanda.

- Potrei avere l’onore di sedermi vicino a lei Mr. Graham?

Terence si sentì fermare il cuore… non poteva essere lei! Si voltò lentamente. I suoi occhi si posarono prima su di un abito lungo di colore verde smeraldo, poi proseguendo incontrarono il suo viso.

- Certamente… - rispose alzandosi per aiutarla a prendere posto.

- Grazie.

- Ci conosciamo? – le chiese con un leggero sorriso.

- Non credo, ma possiamo rimediare. Mi chiamo Candice White, ma se preferisce può chiamarmi semplicemente Candy.

- Solo se lei mi chiamerà Terry – le rispose, sfiorando con le labbra la mano che lei gli aveva offerto.

Dopo che Terence ebbe presentato Miss White ai colleghi seduti al loro tavolo, iniziò la cena. Naturalmente tutti erano incuriositi dalla presenza della deliziosa fanciulla che non avevano mai visto prima, ma il fatto che fosse seduta vicino a Graham li faceva desistere dal porle troppe domande. Riuscirono a sapere soltanto che si occupava di beneficenza e che era arrivata da pochi mesi in Inghilterra. Non ci fu modo di capire per quale motivo si trovasse al ricevimento del Royal Shakespeare Theatre, anche se i sospetti ricaddero immancabilmente sul primo attore, nonostante le sue obiezioni al riguardo.

Anche Terence del resto moriva dalla voglia di farle qualche domanda, non sapendo con sicurezza spiegarsi il motivo per il quale Candy avesse deciso di uscire allo scoperto. A dir la verità nessuno dei presenti sembrava aver capito che tra loro potesse esserci una relazione, ma lui doveva sapere a che gioco stava giocando. Così quando l'orchestra iniziò a suonare il primo valzer Terence le chiese subito di ballare per poter parlare più liberamente. 

- Che cosa ci fai qui? – le domandò ancora stupito.

- Ti sei lamentato che ti dispiaceva lasciarmi da sola e così ho pensato di raggiungerti. 

- Perché non me lo hai detto? Saremmo venuti insieme. 

- Non è vero, avresti fatto un sacco di storie preoccupandoti per me e per quello che avrebbero scritto domani sui giornali. 

- E a te non preoccupa cosa diranno?

- Beh ci ho riflettuto ed ho capito che no, non mi importa, possono scrivere ciò che vogliono!

- Mi sembrava che tu la pensassi come me, cosa ti ha fatto cambiare idea?

- Ti ricordi quando siamo andati a trovare tua madre?

- Certo… a New York, poco prima di trasferirci qui.

- Quel pomeriggio abbiamo parlato molto, Eleanor mi ha messo in guardia in un certo senso su quello a cui sarei potuta andare incontro. Credo che si sia rivista nella mia situazione e mi ha detto chiaramente che la stampa se la sarebbe presa con me per vari motivi… poi però alla fine mi ha detto una cosa che secondo lei avrebbe fatto la differenza. 

- Che cosa?

- Mi ha detto che io sono molto più fortunata di lei perché ho te accanto, tu non mi lascerai mai da sola ad affrontare tutto ciò che arriverà. 

- Puoi esserne certa!

- Lo so, per questo sono qui! Voglio che cominciamo la nostra vita insieme davanti al mondo intero, senza più nasconderci, che ne pensi?

- Penso che sia una grande idea! Ma adesso spiegami come hai fatto ad ottenere l'invito.

Candy sorrise esclamando che era stato un gioco da ragazzi. 

- Ho chiamato Mr Hall e gli ho detto che se voleva che Graham accettasse il prolungamento del contratto doveva assolutamente riservarmi un posto al tuo tavolo. 

- Nessuno sa che mi ha offerto di restare al Royal.

- Appunto… per questo deve aver pensato che io ti conosca molto bene essendo informata sull'argomento… avrà immaginato che io sia la tua nuova manager!

- O forse che sei il motivo per cui sono tornato dalle vacanze in grande ritardo!

Candy alzò le spalle divertita dalla situazione. Il primo valzer era terminato ma loro non ci fecero troppo caso e proseguirono ballando il successivo.

- Dunque ora che cosa facciamo?

- Facciamo che siamo amici per il momento. 

- Io non ce la faccio ad essere suo amico Miss White!

- Oh beh allora ci metta un po’ di impegno  Mr Graham,  mi corteggi! - gli suggerì Candy facendogli l'occhiolino. 

Terence sorrise scuotendo leggermente la testa.

- D'accordo! - esclamò mentre la faceva roteare tenendola stretta alla vita.

Continuarono a ballare per un po’, occhi negli occhi.

- Pensa di conquistarmi solo con uno sguardo?

- Dovrebbe essere sufficiente, di solito funziona!

- Io non sono “di solito”!

- E che cosa si aspetta dunque? Forse dovrei dirle che questa sera è bella da togliere il fiato, che il suo profumo mi fa girar la testa e che sto pensando di rapirla e portarla in un luogo meno affollato?

- Non le sembra di correre un po’ troppo!

- Non sono famoso per la mia pazienza.

- E poi lei che è abituato a declamare sul palcoscenico i versi del Bardo, non sa fare niente di meglio per conquistare una donna?

- Se vuole che le dedichi i versi di Shakespeare deve sapere che a casa possiedo l’intera collezione delle sue opere.

- Credevo li conoscesse tutti a memoria!

- Non tutti, non ancora, ma sul divano, davanti ad un camino acceso, sorseggiando qualcosa di caldo, mi sentirei molto più ispirato.

Anche il secondo valzer era giunto al termine, mancavano ormai pochi minuti allo scoccare della mezzanotte. Dopo aver riempito i calici per salutare l’arrivo del nuovo anno, tutti si erano spostati in terrazza in attesa dello spettacolo pirotecnico che sarebbe iniziato di lì a poco. Molti avevano notato che Graham e la misteriosa Miss White non si erano più staccati l’uno dall’altra e avevano trascorso insieme, ballando e chiacchierando allegramente, gran parte della serata. E come nelle favole migliori fu allo scoccare dell’ultimo rintocco che finalmente tutti compresero quale fosse il destino dei due protagonisti.

 

- Buon anno Mr. Graham.

- Buon anno Miss White e… buon anniversario!

I loro bicchieri si toccarono, entrambi si bagnarono le labbra con un sorso di champagne, restando immobili, i loro volti illuminati dalle mille luci colorate che rischiaravano il cielo.

- Adesso però ho un grande problema – mormorò lui avvicinandosi per farsi sentire nel trambusto dei festeggiamenti.

- Quale?

- Ho un’irrefrenabile voglia di baciarla!

- Cosa aspetta?

 

Fu così che il primo gennaio del 1930, con un bacio appassionato, Candice White e Terence Graham annunciarono al mondo di amarsi.


Capitolo venti




“L’amore non bisogna implorarlo e nemmeno esigerlo. L’amore deve avere la forza di attingere la certezza in se stesso, allora non sarà trascinato, ma trascinerà” 

(Herman Hesse, Demian, 1919)

 

Stratford-upon-Avon, 1 gennaio 1930

 

Dopo aver controllato che Liam dormisse ed aver congedato la tata, si accomodarono sul divano.

- Dunque signor Graham, mi aveva promesso un corteggiamento in piena regola, una volta a casa sua… allora questo Shakespeare di cui ho sentito dire che lei sia il miglior interprete?

- Credevo avessimo già superato quella fase, dal momento che mi ha baciato Miss White!

- Oh quello è stato solo un gesto affettuoso per augurarle buon anno!

Terence sorrise, cercando di contenere la sua impazienza e stare al gioco. Poi si schiarì la voce.

 

- Sei tu la parte migliore di me stesso, il limpido specchio dei miei occhi, il profondo del cuore, il nutrimento, la fortuna, l’oggetto di ogni mia speranza, il solo cielo della mia terra, il paradiso cui aspiro…

- Non male come inizio… continui pure!

- Nulla io chiamo questo universo immenso se non ci sei tu, mia rosa: il mio tutto ed il mio senso! – declamò l’attore avvicinandosi un poco.

- Non abbia fretta… la strada è ancora lunga per guadagnarsi ciò che desidera! – esclamò lei allontanandolo con una mano sul petto e facendolo sospirare.

- Vede mia cara… il sangue caldo genera caldi pensieri e i caldi pensieri generano calde azioni e le calde azioni sono l’amore – insisté lui di nuovo piegandosi verso le labbra di lei.

- Che audacia! – ribatté Candy frapponendo un cuscino tra loro, nell’intento di scongiurare quell’assedio.

- L’amore non teme ostacoli di pietra, amore quando a una cosa tende è ardimentoso e pronto! – proseguì lui rimuovendo il cuscino con un abile gesto della mano, ritrovandosi faccia a faccia con la donna tanto desiderata.

- Il coraggio non le manca, ma noi ci conosciamo appena…

- Chi mai amò che non abbia amato al primo sguardo?

- Lei mi sta implorando, Mr. Graham?

- Se pur sia bello l’amore che è implorato, assai più bello è quell’amore che si concede di propria volontà! – concluse Terence ormai ad un soffio da lei, tanto da poter avvertire il suo respiro sulle labbra.

- “Che si concede”… ha detto?

- Sì, avanti… si conceda milady, o non rispondo più di me.

 

Le labbra di Miss White sfiorarono appena quelle dell’attore, promettendo ben altro, ma allontanandosi di nuovo e lasciandolo insoddisfatto.

 

- Mi piacerebbe molto poterla ammirare a teatro.

- Sarebbe un onore per me averla tra il pubblico, reciterei soltanto per lei!

- Questo non è possibile… le sue ammiratrici ne rimarrebbero deluse!

- Non per vantarmi ma non è mia abitudine deludere una donna e poi… qualsiasi cosa faccia a loro va bene.

- Sono tutte in suo potere dunque.

- Eccetto una…

- Crede che anche lei cederà?

- Ne sono convinto!

- Presuntuoso!

- Gelosa!

- Cosa? Io gelosa! – esclamò Miss White alzandosi e dandogli le spalle.

- Certamente! Adesso ho capito perché hai cambiato idea e sei venuta alla festa! – ribatté Terence afferrandola per la vita e continuando a parlarle all’orecchio – Hai voluto mostrare a tutte che Graham non è più lo scapolo d’oro da accalappiare!

- Non è affatto vero!

- Ah no? Allora perché quando la figlia di Mr Hall si è avvicinata per salutarmi hai pensato bene di rovesciarle addosso lo champagne?

- È stato un incidente…

- Certo… vieni qui…

Candy si voltò verso di lui e non ebbe più scampo.

- Tu non ti accorgi invece dell’effetto che hai sugli uomini, vero?

- Io?

- Gelosa e bugiarda! Non sai quanti sguardi assassini ho dovuto lanciare per tenerli lontano da te.

- Ma figurati… Tu piuttosto, ho visto come ti guardano tutte… “irresistibile” c’era scritto sotto la tua foto sul giornale – ammise imbronciata.

- Anche i giornali dicono la verità a volte!

- La cosa ti diverte vedo!

- No… non mi lascia indifferente, ma non mi diverte e spero che mi ammirino non solo per il mio fascino ma anche e soprattutto per la mia bravura.

Candy rimase in silenzio, mentre lui le toglieva il nastro che le attraversava i capelli.

- Ho l’impressione che tu non sia soddisfatta della mia risposta, vuoi chiedermi qualcosa?

- No… sono una sciocca un po’ gelosa, hai ragione. Voglio solo sapere se sei felice.

- Come non lo sono mai stato in tutta la mia vita!

- Ti amo tanto.

- Anch’io ti amo tanto e sono felice che tu sia qui – le sussurrò baciandola, intenzionato a portare a termine il suo corteggiamento.

Ravvivò il fuoco nel camino, si tolse la giacca e slacciò i primo bottoni della camicia, compresi i gemelli ai polsini. Prese due bicchieri di champagne offrendone uno a Candy, come per brindare a qualcosa di speciale. Ma non ci fu bisogno di parole perché entrambi sapevano cosa avevano conquistato e cosa li aspettava. Erano pronti ad affrontare insieme qualsiasi cosa perché già avevano superato mille difficoltà e più niente poteva spaventarli ormai.

- Le piace molto questo vestito Miss White? – le chiese sfiorandole una spallina.

- Sì molto, non trova anche lei che sia delizioso?

- Assolutamente delizioso, ma… - la spallina scivolò giù – trovo che così sia più… interessante – dichiarò con voce sensuale liberando anche l’altra spalla e sfiorandola con le labbra.

- Che cosa sta facendo… Mr Graham? – domandò lei trovando con fatica l’ossigeno necessario.

- Sto raccogliendo i frutti del mio corteggiamento!

- Ne è sicuro?

- Sì… perché in realtà erano già maturi e pronti… a cadere! – esclamò impaziente di assaggiarli, mentre si abbandonava sul divano attirandola sopra di sé.

 

 

*******

 

 

Bukima, 12 gennaio 1930

 

Cara Candy, come stai?

Sono passati alcuni mesi dall’ultima volta che ci siamo visti, so che ti sei trasferita in Inghilterra, spero che tutto stia andando per il meglio.

Probabilmente da queste mie prime parole avrai già capito quanto sia difficile per me scriverti, ma credo sia necessario dal momento che sto cercando di riprendere in mano la mia vita, proprio come hai fatto tu. Io non credo di avere però tutto il tuo coraggio! Starai facendo la faccia strana pensando che stia scherzando, invece ti sbagli: tu sei stata molto coraggiosa perché, nonostante le prove che la vita ti ha messo davanti, hai saputo ritrovare la strada di casa, anche a costo di soffrire molto, anche a costo di essere giudicata.

C’era qualcosa dentro di te che non se n’è mai andato e che ti ha guidata affinché tu potessi finalmente trovare la felicità che meritavi. Io lo sapevo e l’ho sempre saputo.

Ti ricordi la prima volta che ci siamo visti, sulla tua collina? Eri così piccola e piangevi… da quel giorno ho sempre cercato di aiutarti e forse ci sono anche riuscito. Mi sentivo felice nel farlo, mi sembrava di aver trovato il mio scopo nella vita: aiutare gli altri. Lo facevo con le persone così come con gli animali.

Quando ti ho vista tornare da New York distrutta dal dolore, dopo la vostra separazione, ho pensato che avrei fatto di tutto per te, per rimettere insieme i pezzi del tuo cuore, ma ho peccato di presunzione. Non era compito mio stavolta, bensì di chi quel cuore lo aveva rotto, a meno che tu non lo avessi dimenticato. Ora so perfettamente che questo non è mai accaduto, mi sono illuso che fosse così e probabilmente c’è stato un periodo in cui anche tu hai pensato di essere andata avanti e di poterti aprire ad una nuova vita… io ero lì e… credo ci sia sembrato naturale unire le nostre strade. Ma il destino aveva già scritto la sua storia molto tempo prima, perdonami se non l’ho capito fino in fondo, se non ho compreso del tutto la forza del vostro amore.

Non è stato semplice accettare la fine della nostra relazione, anche di questo ti chiedo perdono e spero che tu non mi porti rancore, ma conoscendo la grandezza del tuo cuore sono sicuro che non lo farai.

Avrai già capito che non mi trovo più in America, come ti ho detto anch’io ho scelto di riprendere la mia vita e non potevo farlo se non tornando alle mie origini, a ciò che amo di più. Mi trovo in Congo, in un piccolo villaggio a 2500 metri di altitudine, nel cuore della foresta. Da qui partiamo ogni giorno insieme alla mia squadra in cerca dei gorilla che popolano questa zona e che sono a rischio di estinzione. Negli ultimi anni infatti la deforestazione selvaggia e il bracconaggio hanno decimato circa il 75% della specie. Con il nostro lavoro cerchiamo di individuare i loro spostamenti e di censirli in modo da poterli salvaguardare. Salvare un gorilla di montagna significa preservare il cuore verde dell’Africa, la sua natura magnetica, i suoi villaggi e tutte le comunità che vivono qui intorno.

Non preoccuparti per me, ora sto bene e sono felice.

C’è una cosa che mi piacerebbe molto fare e cioè mostrare l’Africa a Liam, gliene ho parlato tante volte, magari un giorno, chissà.

 

Con affetto e stima

Albert

 

*******

 

 

- Candy, perché te ne stai qui al buio?

Terence era appena rientrato da teatro e l’aveva trovata seduta in salotto, con la luce spenta.

- Stavo leggendo questa lettera e poi non mi sono accorta che si era fatto tardi…

- Chi ti scrive?

Lei non rispose, semplicemente gli mostrò la busta.

- Come sta? – le chiese serio.

- Dice di stare bene, si trova in Africa, in Congo per la precisione.

- L’ultima volta che l’ho sentito mi aveva accennato l’idea di tornare in Africa.

- Vi siete sentiti? Perché non me lo hai detto?

- In realtà l’ho chiamato io, poco prima di Natale.

- Perché?

- Perché… come te vorrei che tra noi le cose tornassero come prima e a giudicare da questa lettera probabilmente non ci siamo molto lontani. Mi viene in mente quando eravamo ancora alla St. Paul School e lui partì per l’Africa, lo fece pensando che tu fossi al sicuro, che tu non avessi più bisogno di lui perché… perché c’ero io. Forse anche adesso avrà pensato la stessa cosa.

Candy sorrise teneramente ripensando a quei giorni.

- Scrive che gli piacerebbe far vedere l’Africa a Liam. Pensi che sarà possibile un giorno?

- Perché no?... e poi… si sta occupando dei gorilla giusto?

- Sì…

- Beh allora potresti aiutarlo!

- Io?

- Sì, sono sicuro che sarebbero felici di vederti.

- Chi?

- I gorilla! Vedere una scimmietta così carina…

- Quale scimmietta!!!

- Ho detto carina!

- Terence Granchester…

- Non è un buon segno quando mi chiami Granchester… cara la mia scimmietta Tuttelentiggini!

- Faresti bene ad iniziare a correre!

 

La casa si riempì delle loro risate a cui si unirono quelle di Liam che aiutò Candy a mettere al tappeto il papà. La lotta si concluse con mille baci, dopo una furibonda battaglia di solletico! 



Epilogo



Liam Granchester



New York, dicembre 1946


- Vorrei riuscire ad amare come te!

- Non prendere esempio da me figliolo, ti assicuro che ho commesso molti errori in amore.

- Non è possibile… quando vi vedo insieme, tu e la mamma, siete ancora così innamorati dopo tanti anni! La mamma ti adora ed è evidente come tra voi ci sia ancora un’alchimia speciale. Come si fa? Dimmelo papà.

 

Quando è scoppiata la guerra siamo tornati in America. A me è dispiaciuto molto dover lasciare l’Inghilterra ma era inevitabile. Ci siamo trasferiti a New York, mio padre è tornato a lavorare a Broadway senza alcuna difficoltà, i suoi spettacoli fanno sempre il tutto esaurito ad ogni replica. Mamma dirige una casa di accoglienza per bambini abbandonati e giovani madri in difficoltà, ha in programma di aprirne un’altra a breve. Papà la sostiene in tutto e lei è la sua prima ammiratrice, da sempre.

In questi giorni che precedono il Natale siamo tutti riuniti a casa. Mamma dice che questa è la festa più importante, la festa della famiglia e non permette a nessuno di noi di mancare.

Mia sorella July e mio fratello Ricky, il più piccolo, abitano ancora con i miei genitori, mentre io frequento il college e torno a casa solo in occasioni come questa.

Sono arrivato appena in tempo altrimenti mi sarei preso una bella lavata di capo, nonostante abbia ormai 20 anni compiuti. Vi ricordate di me? Sono Liam, mi avete conosciuto quando avevo poco più di due anni e ancora non sapevo niente della mia vita.

La mamma è indaffarata con gli addobbi, July e Ricky la stanno aiutando, mentre papà ed io siamo riusciti a sgattaiolare via rifugiandoci nello studio. Entrambi non abbiamo una grande passione per queste cose, anche se temo che prima o poi verremo scoperti.

Seduti in poltrona, sorseggiamo del tè e facciamo due chiacchiere parlando dei miei studi, del suo lavoro e anche di… ragazze.

Papà sta per compiere 50 anni ed è ancora un uomo assolutamente affascinante, non vi dico quante lettere riceve quotidianamente dalle ammiratrici, per la gioia della mamma che è piuttosto gelosa, anche se non lo ammetterà mai. Lui la prende un po’ in giro ma solo per farla arrabbiare e poi avere una buona scusa per farsi perdonare. Non credo possano esistere al mondo un uomo e una donna più innamorati di loro! Vorrei tanto sapere come si faccia a mantenere un rapporto così vivo dopo tanti anni di matrimonio, tre figli e  litigate che comunque non mancano mai.

Papà non parla volentieri di sé, tantomeno dei propri sentimenti, anche se con il passare degli anni ha imparato ad aprirsi un po’ di più, soprattutto con me. Mi dice spesso che gli somiglio molto e che in me rivede lo stesso spirito ribelle che aveva lui alla mia età, sarà per questo che sta sempre dalla mia parte anche quando mamma mi riprende perché vorrebbe che fossi meno impulsivo e testardo.

 

Domani arriverà anche Albert. Da quando siamo tornati a New York ci frequentiamo spesso e appena possibile ha promesso di portarmi in Africa: potrò accompagnarlo in una delle sue avventurose spedizioni nel cuore della savana, mi ha spiegato che vedere gli animali selvatici, i grandi felini e i gorilla in libertà è un’emozione incredibile che ti fa comprendere quanto l’uomo rappresenti solo una piccola parte dell’universo e che tutto non ruota intorno a lui.

Albert è davvero una persona speciale, un grande amico per i miei genitori anche se… c’è stato un periodo, anni fa, in cui questa amicizia è stata messa a dura prova.

Ricordo vagamente quando ero ancora piccolo e Albert frequentava la nostra casa. Mi portava dei regali e mi faceva giocare ma papà non si univa mai a noi. Ero solo un bambino e non capivo. Poi un giorno, avrò avuto circa quattordici anni, trovai una fotografia che ritraeva Albert con in braccio un neonato. Non sapevo che avesse dei figli per cui chiesi alla mamma chi fosse quel bambino, mostrandole la foto. Lei mi guardò seria senza rispondere. Mi chiese dove l’avessi trovata ed io le risposi che era in un cassetto dello scrittoio di papà. Lei sorrise leggermente e poi mi disse che quel bambino ero io. Non so perché ma avvertii un brivido attraversarmi la schiena e immediatamente chiesi alla mamma di mostrarmi una foto con papà. Ma lei non poteva, non c’erano foto con lui, almeno non prima che avessi compiuto due anni.

Corsi via, confuso e pieno di rabbia. Mi nascosi e non mi feci trovare fino a sera. In quelle ore che passai da solo non feci altro che tentare di riportare alla mente tutti i momenti condivisi con papà. La prima cosa che ricordavo aveva dei contorni piuttosto sfuocati: mi rivedevo in mezzo all’acqua, andare sempre più giù nel buoi e poi una mano che all’improvviso mi afferrava e mi riportava alla luce, i suoi occhi blu che mi fissavano e la sua voce dolce e sicura che mi ripeteva “va tutto bene piccolo, va tutto bene”.

Avevo camminato lungo il fiume che costeggiava la nostra casa e mi ero nascosto sotto un piccolo ponte, circondato dall’erba alta. Fu papà a trovarmi. Ricordo la sua espressione preoccupata e il fatto che, nonostante fosse molto arrabbiato con me, cercasse in ogni modo di mantenere la calma. Si mise seduto vicino senza dire nulla. Accese una sigaretta e rimase in silenzio aspettando che fossi io a parlare. Avevo pianto molto, terrorizzato dal fatto che la vita che avevo vissuto fino a quel momento fosse tutta una bugia.

 

- Sei tu il mio papà…vero? – trovai il coraggio di chiedergli, stringendo ancora in mano quella fotografia.

- Sì, sono io, ma c’è stato un periodo in cui non lo sapevo.

- Perché?

- Ti racconterò come sono andate le cose ma adesso torniamo a casa, la mamma è molto preoccupata.

 

La sera papà mi raccontò tutto, fin dall’inizio: quando e come si erano conosciuti, si erano innamorati e poi avevano dovuto separarsi, quanto avevano sofferto pensando che il loro amore fosse morto per sempre e come poi si erano ritrovati, scoprendo invece che non era cambiato niente nonostante il passare degli anni, nonostante non sapessero più nulla l’uno dell’altra.

 

- Ma quando ci siamo incontrati Candy era sposata con un altro.

- Albert?

- Sì.

- Perché lo ha sposato se ha sempre amato te?

- Forse questo è meglio che tu lo chieda a lei… io posso solo dirti che in questa storia tutti abbiamo commesso degli errori, abbiamo sofferto e faticato molto per recuperare la nostra amicizia.

- Anch’io sono stato un errore?

- Questo non devi nemmeno pensarlo Liam! Tu sei la prova che il nostro amore non si era mai spento. Quando ho saputo di essere tuo padre sono stato l’uomo più felice del mondo! È stato come se una luce incredibile avesse all’improvviso illuminato tutta la mia vita.

- Albert lo sapeva già?

- Non poteva esserne sicuro del tutto…

- Non voleva perdere la mamma…

- Già…come dargli torto!

 

Per mamma non fu semplice parlare di quel periodo, credo che si sentisse ancora in colpa sia verso Albert, verso papà e soprattutto verso di me. Io cercai di tranquillizzarla dicendole che ero felice che Albert fosse presente nella mia vita e che non avrei potuto desiderare genitori migliori di loro. Ricordo il suo abbraccio con cui rischiò di stritolarmi.

 

Sono passati diversi anni ormai da quel dialogo con papà ed oggi, quando mi dice di aver sbagliato molto in amore, capisco a cosa si riferisce, nonostante questo, quando ho un problema di cuore, è sempre a lui che chiedo un consiglio.

 

- Papà ma come si fa a capire che è quella giusta?

Lo vedo sorridere e riflettere un momento.

- Gli indizi sono tanti, potrei dirti che sentirai le farfalle nello stomaco appena la vedi, o che occuperà i tuoi pensieri, di giorno e di notte… senza tregua, che sarai geloso se solo qualcuno la guarda… ma c’è una cosa che secondo me è più importante di tutto e cioè che con lei non avrai bisogno di fingere di essere diverso.

- Perché lei sa leggerti dentro, vero?

-Vero! E gli vai bene così.

- Più o meno…

- Già… più o meno…

Scoppiamo a ridere e la mamma ci sente.

 

- Posso ridere anch’io o sono cose da uomini? – ci domanda con l’aria indagatrice.

- Certo mamma, papà mi stava spiegando che la ragazza giusta è quella che ti accetta per come sei, come hai fatto tu con lui: eri così stregata dal suo fascino che i suoi difetti sono passati in secondo piano!

Mamma gli lancia uno sguardo torvo in attesa di spiegazioni.

- Non ho usato proprio queste parole… - cerca di difendersi alzando le mani.

- Terence!!! Non ero assolutamente stregata dal tuo fascino, ti ricordo che sei stato tu a corteggiarmi fino allo sfinimento!

- Io?!

- Sì tu!!!

 

Esco di soppiatto dalla stanza e li lascio tranquillamente discutere, tanto lo so che litigano solo per fare pace!

 

 

FINE




 




 

Commenti

  1. Cómo he sufrido con esta historia! Sufrí por todos, por Candy persiguiendo a Terry, Por Terry huyendo de Candy y por Albert como el esposo engañado. No me ha gustado que Albert pueda ser la pareja de ella, pero tampoco me gusta verlo sufrir. Aunque siempre he pensado que eso podría ocurrir, que si ella se casara con Albert, podría serle infiel con Terry? Ella es muy noble, tal vez nunca lo haría. Pero de todas maneras, tu historia me ha llevado en este multiverso. Gracias. Hermoso, hermoso.

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    1. È una storia un po' difficile me ne rendo conto, ma è la mia risposta a chi vede Candy sposata e innamorata di Albert. Impossibile! Grazie per aver apprezzato lo stesso ❤️

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  2. Ti ho trovata!e farò scorpacciata delle tue storie!lho adorata,intensa,appassionata irriverente,dolorosa ma ho amato la libertà di Candy,donna pronta a tutto!Ary

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    1. Ti ringrazio Ary! Questa è una storia alternativa ma in cui viene fuori alla fine il grande amore di Terence e Candy che supera ogni ostacolo!

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  3. Non trovo le parole per esprimere quello che ho sentito e ancora sento... Ho letto con il fiato corto ed il cuore in gola, una storia stupenda che mi ha travolta come un onda, portandomi dentro ogni sguardo, ogni silenzio,ogni dolore.
    Ho sofferto con tutti loro e per tutti loro... poi quella lettera di Albert mi ha rasserenata.
    Ed anche l'epilogo è stata pura emozione,
    eh si, il "piccolo Liam", tutto suo papà
    Grazie ❤️

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